Curiosa è la storia di questa band dell’Oregon: a metà degli anni ottanta fu Marvin Etzioni, membro fondatore della cult band Lone Justice, a produrre il loro disco di esordio (e unico) intitolato “April” che per breve periodo ebbe una discreta programmazione nel circuito delle radio dei College ma che non li portò che ad un quasi inevitabile scioglimento. L’unico a proseguire una carriera nella musica fu il batterista Kevin Jarvis che prestò i propri servigi a Brian Wilson, Elvis Costello e a Lucinda Williams tra gli altri, mentre la coppia Kate e Lee Oser, voce e chitarre della band, si diedero rispettivamente all’attività di bibliotecaria per bambini e all’insegnamento della letteratura inglese, con l’allora chitarrista Kevin Kraft che intraprese un percorso all’interno delle aziende della Silicon Valley. Quasi per caso lo stesso Marvin Etzioni, più di tre decadi dopo, ha richiamato la line up originaria per chiedere loro se se la sentivano di riprendere quel discorso artistico. La risposta è stata sorprendentemente positiva così da rivedere una proposta che deve molto a certo folk-rock di marca californiana, tra suggestioni legate alla storica scena di Laurel Canyon e quel fertile periodo dell’alt-country degli anni ottanta e novanta. Visto che nel frattempo è nata una formazione (australiana) chiamata Riflebirds come la loro prima versione, Kate e Lee Oser hanno deciso di chiamarsi The Riflebirds of Portland, dalla loro città di provenienza. “Windmills On The Moon” è quindi il risultato di sessions effettuate sotto la direzione di Marvin Etzioni che è riuscito a mantenere la freschezza di un sound tra rock e radici che può, con un po’ di fortuna, fare da trampolino di lancio per questa seconda vita della band. Belle armonie vocali che sorreggono la voce di Kate Oser, chitarre squillanti nella migliore tradizione westcoastiana e una scrittura positiva e interessante sono le basi su cui si snodano le dieci canzoni del disco, introdotte da una “Sometime Somewhere” che inquadra subito quale sarà lo sviluppo armonico di “Windmills On The Moon”. “She’s Not Here” mantiene il fascino naif dei primi Jefferson Airplane e di quella California piena di sogni e di utopie, l’acustica e intimista title-track è vicina a certe narrazioni cantautorali tra folk e country e “Reach Out (Touch The Divine)” mette un pizzico di psichedelia in un’atmosfera più movimentata e spigliata. L’album segue comunque una falsariga tra momenti più acustici e ‘folkie’ e altri in cui il tutto viene corroborato da influssi più rock, senza mai stare ‘sopra le righe’. “Where Does The River Lead?” e “You Win” pervasa da fascinazioni pop anni sessanta sono i due modi di interpretare e di proporre un suono che risulta brillante e decisamente divertente per una band che sembra aver ritrovato stimoli ed interesse. (Remo Ricaldone)