All’ubriacatura da Queen a cui si sta assistendo in queste ultime settimane – complice l’uscita del film biopic Bohemian Rhapsody – si accoda anche Brett Eldredge con la sua versione di Crazy Little Thing Called Love, uscita a fine novembre. Il brano in questione è una di quelle canzoni scritte da Freddie Mercury, di maggior successo e diffusione. Contenuto nell’album The Game (EMI, 1980) uscì come singolo qualche mese prima rispetto all’uscita dell’intero LP e raggiunse ottimi risultati di vendita. Fu infatti numero 1 in USA, Canada, Messico, Olanda e Australia (in UK si fermò inaspettatamente solo al secondo posto). The Game stesso ebbe grandissimo successo – trainato dalla famigerata Another One Bites The Dust – e rimane l’unico album dei Queen ad aver raggiunto la vetta della classifica di vendita in America. The Game segnò l’inizio della rottura dell’incantesimo creativo che aveva visto Mercury come unico e incontrastato hitmaker della band, facendo emergere qualità compositive importanti detenute anche dagli altri membri del gruppo. La già citata AOBTD era di Deacon, poi arrivarono Radio Gaga e A Kind Of Magic di Taylor e Who Wants To Live Forever di Brian May, a definire la seconda parte di carriera dei Queen, nella quale la vena artistica inarrivabile di Mercury si chiudeva lentamente, esaurita, consunta e gravata dalla malattia. L’efficacia al solito geniale di CLTCL, risiede nel sembrare a tutti gli effetti – essa stessa, pur non essendolo – una cover di un qualsiasi classico di Elvis, un rockabilly elettroacustico volutamente Lo-Fi, agghindato da innocui giubbottoni di pelle, voce impostata e riverberi in puro Sun Records style, tanto da divenire una specie di rispettosa parodia del Re, gustosa, ironica, nervosa e gayssima. Brian May in 15 secondi di assolo capolavoro, sversa poi notine argute e maliziose. Brett Eldredge da par suo, solitamente nobile e istrionico, combina un mezzo disastro: tenta una rilettura improbabile, scegliendo un metronomico clap campionato a marcare il ritmo, conseguentemente appiattito e inamidato. I riverberi che avvolgono voce e strumenti sono così densi e invasivi che sembra ci si possa trovare in una bottega dove al più, si fanno i duplicati delle chiavi. Gioca molto poco spontaneamente a riproporre quel suo vocione da crooner ribaldo e affascinante, finendo però per riproporre solo urletti smorzati alla Chubby Checker. A mettere il coperchio su questa padella deformata, ci pensa poi il solo di chitarra, in grado di far spalancare le orecchie per poi farle richiudere subitaneamente, in un grumo di incredulità. Alla prossima mr. Eldredge. (Steve Frapolli)