Il nome di Kris Delmhorst è noto in particolare nella scena cantautorale della east coast americana in cui per quasi tre decenni ha rappresentato e rappresenta tuttora una delle voci e delle penne più sensibili e ricche fascino. Dieci dischi all’attivo e una maturità raggiunta attraverso narrazioni che sono al tempo stesso uno sguardo ai nostri tempi e racconti ricchi di allegorie e di seduzioni sonore l’hanno proiettata in quella schiera di cantautori dal linguaggio che prende spunto dal folk ma che si libra verso orizzonti sempre nuovi e incisivi. Nel corso della sua carriera Kris Delmhorst ha anche scritto musica per film e tv e collaborato a voce, fiddle e cello nei dischi di Mary Gauthier, Lori McKenna e Chris Smither tra gli altri, impegnandosi anche come produttrice con risultati più che positivi. Ora “Ghosts In The Garden” esce a cinque di distanza dal precedente album e riprende il suo discorso con una vena caratterizzata da un profondo amore per la letteratura ma anche ricercando soluzioni strumentali che rendono queste canzoni decisamente attraenti. Inciso in uno studio all’interno di una casa di campagna del diciottesimo secolo situata nel Maine  rurale, il disco si segnala per una vena spesso onirica e anche un po’ misteriosa che segue le storie legate al luogo di registrazione ma soprattutto ad un immaginario fatto di rievocazioni nostalgiche e di avvenimenti tra la leggenda e la storia, rimandando frequentemente il lavoro di una band come gli Orphan Brigade. L’album è quindi da gustare nella sua interezza, dando spazio all’introspezione a cui queste canzoni  invitano, sin dall’introduttiva “Summer’s Growing Old” anche se è dalla seguente “Wolves” che la cifra poetica si fa importante e ricca in una canzone il cui sussurro di Kris Delmhorst è qualcosa di intimamente speciale. La title-track fissa con attenzione ai particolari il tema ‘onirico’ e sognante che segna buona parte dell’album e la linea melodica che ne esce è un altro momento da incorniciare. La presenza di molte voci (specialmente femminili) che si alternano rende molte delle atmosfere pregne di una finezza non comune e il contributo di Anais Mitchell, di Rachel Baiman, di Ana Egge e di Jeffrey Foucault (marito della Delmhorst con cui vive nel Massachussetts occidentale) è basilare. Da questo mood ogni tanto ci si sposta verso un bel roots-rock come ad esempio in “Won’t Be Long” e “Dematerialize” e tutto questo non fa che dare varietà al disco e a renderlo ancora più godibile. Andando a spulciare nelle pieghe di questa selezione possiamo soffermarci sulla soffice “Not The Only One” che si muove tra pigre sensazioni ‘jazzy’, su una “Age Of Innocence” in bilico tra Emmylou Harris e Lucinda Williams, una fascinosa “Beyond The Boundaries” dove la nostra si esprime al meglio e la conclusiva “Something To Show” che suggella un periodo di ottima ispirazione e la conferma delle doti di Kris Delmhorst. (Remo Ricaldone)