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“Revolution come, Revolution go” è il decimo album in studio della jam band statunitense, primo cd di inediti in 4 anni, dopo Shout! del 2014. L’album si apre con il rabbioso singolo “Stone Cold Rage” in cui regna sovrana la chitarra tutta wah-wah di Haynes che detta ritmi altissimi fin da subito. L’ascoltatore viene indirizzato verso le autostrade del Southern Rock e nelle arterie d’asfalto sporche di blues, funk e country. Un disco pregno di tante, colorate sfumature musicali che vede in seconda posizione il pezzo intitolato “Drawn that way”. Batteria e chitarra aprono le danze, la musica avanza a grandi falcate furtive fino al momento in cui c’è un rapido e inaspettato cambio di ritmo. Non sembra neanche la stessa canzone, le falcate della chitarra di Warren ora non sono più guardinghe, ma tutto si trasforma in una corsa a perdifiato verso il finale strumentale. E’ il turno ora di “Pressure under fire” con Haynes che propone una pennata in levare per comunicare le sue paure e le incertezze che compongono il puzzle della vita. “Traveling Tune” sembra fatta apposta per rassicurare i pavidi e i timorosi. Haynes cuce una ballata che rievoca gli anni ’70, un’altra canzone da strada per chi gli chiede sempre “How many road songs can you write?”. Warren candido risponde che ne scriverà la quantità necessaria per far andar tutto bene. Finché compone pezzi così noi ascoltatori sappiamo di essere al sicuro e di poter vivere accompagnati dalla giusta colonna sonora ogni giorno. L’intro psichedelico di “Thorns of life” guida verso una spirale catartica e ipnotica creata dal riff di chitarra circolare e ripetitivo. Ma di corsa arriva Warren a liberare tutti dall’incantesimo e conduce verso il finale tra schitarrate convinte e il ritorno di echi mistici. “Dreams e songs” è un altro bel passo indietro nei ‘70s, una dichiarazione di ciò che i Muli sanno fare: sono artigiani che costruiscono canzoni, assemblano versi e improvvisano assoli. Una dolce ballata con cori trasognati, una constatazione dell’impossibilità di tornare indietro e un grido di disperazione positiva. Tutto ciò che sanno fare nel marasma del mondo è scrivere canzoni e regalare sogni.
Si continua con la power ballad “Sarah Surrender”, una canzone bagnata da spruzzi di pop con un cembalo che condisce la melodia e un amore da conquistare. E’ poi il momento del pezzo che dà il titolo all’album, “Revolution come, Revolution go”, brano caratterizzato da un bel groove di basso e hammond. Un ritmo preso in prestito dalle migliori playlist funk, la chitarra che ricama sopra una grintosa melodia e anche qui i fatidici e improvvisi cambi di ritmo che giocano a spiazzare l’ascoltatore. Otto minuti di puro e godibilissimo groove marchiato con lo zoccolo dei tosti muli americani.
“Easy times”, una ballata sognante che guarda al passato; un inno ai bei momenti trascorsi con le persone giuste al proprio fianco, quando ci si nascondeva dal resto del mondo e si veniva baciati dalla pioggia. Momenti che ora possono solo essere ricordati perché le cose sono cambiate. “Dark was the night and cold was the ground”, pezzo di Blind Willie Johnson del 1927, ha il compito di concludere questo denso album. I Muli reinventano il brano regalando un pò di linfa vitale a quelle radici troppo spesso trascurate. Nel finale una voce distorta si chiede “Are we so hungry for the old days that we’d actually go back in time?”. Io credo che finché siamo affamati del passato siamo al sicuro. Recuperare il “vecchio” come fanno i Muli è segno di grande rispetto vero i propri antenati e soprattutto indica la consapevolezza di sapere da dove musicalmente proveniamo. I Gov’t Mule hanno sfornato un’altro progetto musicale ricco e appetitoso. Revolution come, Revolution go, disco consigliatissimo.(Sara Bao)