Abbracciare in maniera completa ed approfondita l’ampio patrimonio musicale del profondo sud e farlo in maniera personale e genuina è compito non facile ma nel caso di Afton Wolfe, musicista nativo del Mississippi e residente a Nashville da un ventennio circa, pienamente riuscito. Afton Wolfe ha alle spalle un curriculum importante e vario ed è cresciuto in un’area (tra le cittadine di Meridian, Hattiesburg e Greenville) fertilissima musicalmente per essere stata la culla dei suoni blues, country e rock’n’roll, di una straordinaria serie di scrittori e di episodi storici che l’hanno posta al centro della storia americana. Con il suo esordio intitolato “Kings For Sale” aveva posto le basi per una carriera che ora sta assumendo contorni rimarchevoli, con una scrittura letterariamente profonda e suoni eclettici che prendono spunto dai più autentici aspetti della cosiddetta musica delle radici, sia bianca che nera. Nel corso del 2023 sono due i dischi prodotti: un ep intitolato “Twenty-Three” e ora questo “The Harvest” in cui affina le sue doti di interprete proponendo sette composizioni del veterano autore nashvilliano (e anche suocero) L.H. Halliburton. Un album che pone l’accento sulla sua grande versatilità e su un talento puro, sorretto da una voce vissuta che può rimandare ad artisti che lui ha amato e che in qualche modo ne hanno segnato la formazione, da Tom Waits a Leonard Cohen, da Elvis Costello ai grandi blues e country singers del passato. La title-track apre il disco con un’ariosa melodia che ricorda fortemente il lato country della Marshall Tucker Band anche grazie all’uso del flauto di Seth Fox in un momento poetico e aggraziato, con “New Orleans Going Down” che ci porta subito a cambiare registro e visitare la ‘Crescent City’ con un’altra melodia accattivante e incisiva. “Lost Prayers” è una superba ballata tra country e folk, deliziosamente acustica e degna del miglior cantautorato, sicuramente uno dei momenti più intriganti dell’album, seguita da “Hello, Mr. Wolf”, tra Dylan e Cohen, oscura ballad dal passo cinematografico e da “Til The River No Longer Flows”, aggressiva ed orgogliosa che riporta alla mente la produzione del purtroppo poco conosciuto e valutato Lee Clayton. A chiudere ci sono altri due momenti che meritano di essere citati: “Mississippi”, altra intensa interpretazione che ci riporta agli anni cinquanta/sessanta e “Here To Stay”, pianistica e un po’ ‘low-fi’ a tracciare legami con il Tom Waits struggente e nostalgico dei momenti migliori. Disco e soprattutto musicista da conoscere. (Remo Ricaldone)