Nel corso degli ultimi decenni gli artisti dell’area country di Nashville si sono cimentati spesso con il repertorio di musicisti rock, chi in maniera più naturale chi forzando un po’ la mano in un comunque divertente esercizio di stile. Dagli Eagles ai Lynyrd Skynyrd, dai Beatles al Southern Rock nella sua più ampia accezione (omaggiando uno stile vicino a molti dei nomi che hanno bazzicato Music City) molti sono i riefrimenti che hanno attratto la curiosità dei produttori e dei discografici di Nashville proponendo dischi con più di un motivo di interesse. Per i 60 anni di attività dei Rolling Stones, celebrati in pompa magna in molti modi, i musicisti country o comunque legati alla country music hanno omaggiato il songbook di Mick Jagger e Keith Richards con un album intitolato “Stoned Cold Country”. Non è la prima volta che viene pubblicato un tributo agli Stones e i più attenti si saranno magari imbattuti in un disco dal titolo simile, “Stone Country”, uscito nel 1997 in cui facevano bella mostra nomi come Travis Tritt, Rodney Crowell, Sammy Kershaw, George Jones, Tracy Lawrence, Nanci Griffith e i Tractors tra gli altri, in una selezione di cui consiglio di tornarci su. Ora “Stoned Cold Country” celebra con vigore un repertorio noto ai più, con qualche sorpresa e i pregi e difetti che operazioni simili hanno. Da una parte la inevitabile dispersione e la poca coesione, dall’altra la passione e l’amore infusi da buona parte dei nomi coinvolti, rendono per molti versi godibile ed interessante il disco, a partire da una rocciosa “(I Can’t Get No) Satisfaction” assolutamente nelle corde di Ashley McBryde, come decisamente nelle corde di Brooks & Dunn è la seguente “Honky Tonk Women”, per chi scrive uno dei momenti più azzeccati e vibranti. Intelligente la scelta di Maren Morris di affidarsi a un brano già di per se country-oriented come “Dead Flowers”, in una versione riuscitissima mentre intrigante è la “It’s Only Rock’n’Roll” ripresa dai Brothers Osborne con i War & Treaty a regalare sfumature ‘black’ alla canzone. Jimmie Allen è tra le nuove star della scena nashvilliana e il suo essere afro-americano gli permette di infondere inflessioni soul alla “Miss You” che lui ha scelto con una certa logica, non aggiungendo nulla all’originale ma districandosi con discreta bravura in uno dei tanti classici ‘stonesiani’. La californiana Elle King ci regala poi una “Tumbling Dice” ricca di profumi sudisti, rendendo giustizia ad una splendida melodia qui resa con grande passione, Marcus King offre poi una solidissima “Can’t You Hear Me Knocking” (da uno dei capolavori come “Sticky Fingers”) che non sfigura assolutamente con l’originale, dando nuova linfa alla canzone con la sua grinta e forza espressiva. L’album, lungo e ricco di spunti, prosegue con i Little Big Town che riprendono una melodia senza tempo come “Wild Horses”, classicissimo che fu donato a Gram Parsons dagli stessi Stones per essere inserito nel repertorio dei Flying Burrito Brothers; i LBT ne danno una versione fedele e appassionata, così come la band di Zac Brown con “Paint It Black”, scelta non banale e non facilissima da interpretare in maniera credibile. Lainey Wilson, altro personaggio in ascesa nella ‘nuova Nashville’ celebra a suo modo “You Can’t Always Get What You Want”, con grazia e ottimi risultati, dando ampio spazio nella prima parte alla pedal steel e infondendo colori sudisti ad un altro classico, Elvie Shane risulta un po’ temerario nello scegliere “Sympathy For The Devil”, altro brano complicato da interpretare, con il risultato di una versione non trascendentale pur cercando similitudini con l’originale. Il trittico finale vede a sorpresa Steve Earle accanto a molti nuovi country acts, lui che certamente è molto distante dal business di Nashville e dalle classifiche dominate da giovanissimi: “Angie” è ripresa con il suo classico stile vocale e un arrangiamento azzeccato, Eric Church che ha dimostrato di essere vicino come spirito ai suoni rock rilegge “Gimme Shelter” dando fondo alle sue doti e alla sua energia, mentre a chiusura dell’album c’è il trentenne Koe Wetzel, musicista che si propone di fondere rock e country, qui alle prese con “Shine A Light” pervasa da un’aura gospel in sintonia con l’originale, pur non risultando particolarmente riuscita a mio parere. Un parere comunque positivo di fronte ad un omaggio in molti momenti piacevole che presenta nomi nuovi di buon livello e riporta all’attenzione acts che hanno scritto la storia recente della country music. (Remo Ricaldone)