Nato a Sydney ma attualmente residente a Brisbane, Australia, Phil Smith è un validissimo cantautore giunto al terzo lavoro discografico intitolato “Year Of The Dog”. Il suo percorso formativo è stato per certi versi comune a molti ragazzi che negli anni si sono avvicinati al mondo della canzone d’autore tra folk e radici anglo-americane, da Nick Drake a Neil Young, passando inevitabilmente per Bob Dylan per poi subire il fascino dei suoni ‘americana’ e in particolare di Ryan Adams. E’ in quei suoni, scarnificati e bruciati sotto l’implacabile sole australiano che Phil Smith presenta il suo talento e le sue dieci ottime canzoni. Dall’iniziale “Calling Home” con splendidi arpeggi chitarristici che mi ricordano i Milk Carton Kids abbiamo subito la percezione di trovarci davanti ad un musicista il cui contributo alla storia non sarà fondamentale ma appare come un bravissimo erede della tradizione dei troubadors americani. “Broken Rivers” rimanda al Neil Young più acustico e roots, con il banjo protagonista come in alcune canzoni da “On The Beach” o “Tonight’s The Night”, “Homeward Bound” (nessuna parentela con la famosa canzone di Simon & Garfunkel) è pura e poetica con fiddle e controcanto femminile che avvicina il brano a certe cose di Gillian Welch e David Rawlings mentre “Avenue Girl” ha nel dna le ballate di Nick Drake, profumi jazzy e il piano che sottolinea malinconia e nostalgia. La lunga “Memories”, “The Ballad Of Joseph Henry” direttamente ispirata al Ryan Adams più acustico, “The Train” affascinante ed evocativa e “Sometimes You Cry” con la melodia abbellita dall’armonica sono canzoni che si fanno ricordare per sincerità e credibile coinvolgimento. Musicista e disco da centellinare…come il buon vino. www.philsmithmusic.com.au. (Remo Ricaldone)