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Tra pochi mesi compirà 50 anni; scritta da John Hartford, nel 1968 vinse quattro Grammy Awards, due grazie alla versione dello stesso Hartford, e due a merito della registrazione di Glen Campbell, che la porterà nell’empireo dei maggiori classici di sempre della Country Music. La BMI (Broadcast Music Inc., una sorta di SIAE statunitense), l’ha inserita al sedicesimo posto delle canzoni che hanno totalizzato il maggior numero di esecuzioni pubbliche nel secolo scorso; è forse il brano country che ha avuto il maggior numero di rifacimenti da parte anche di artisti non country (impossibile da quantificare con precisione, ma ne ho raccolte quasi un centinaio, da Aretha Franklin a Sinatra, passando per Elvis, Dean Martin, Lou Rawls, Madeleine Peyroux, Paul Anka, Caecil Norby, Patti Page e Lucinda Williams, solo per elencare gli artisti più noti). Rifatta e incisa in ogni forma, dimensione, colore, anche da tantissimi artisti propriamente country, partendo da Tammy Wynette, Waylon Jennings, Roy Clark, arrivando fino alle più recenti (e riuscitissime) versioni di Terri Clark e Band Perry. A queste si aggiunge dal febbraio di quest’anno, anche la voce tanto sottile quanto autorevole di Alison Krauss, che inserisce nel suo ultimo album, Windy City, già numero 1 della Billboard Country Chart, oltreché numero 9 della Top 200.glen
Alison Krauss, dopo tanti anni con la Rounder Records, etichetta di Nashville, specializzata in bluegrass e country-folk, cambia casacca indossando quella della prestigiosa Capitol Records, e scompagina tutte le carte sul tavolo: hairlook leonino, un po’ anni ’60, un po’ post-moderno, in netto contrasto con quell’abitino da simil-collegiale che lascia pericolosamente scoperte le gambe; abbandona i fedelissimi Union Station e si affida al coordinamento artistico di Buddy Cannon (un tipetto che lavora con il gotha del country di questi ultimi 20 anni: Joe Nichols, Sammy Kershaw, Dolly Parton, Reba, Ashton Shepherd, Chris Young, Craig Morgan, John Michael Montgomery, Sara Evans e soprattutto la megastar Kenny Chesney…), e pubblica il suo nuovissimo Windy City, raccogliendo 10 cover, pescate proprio nel repertorio della tradizione countrypolitan degli anni ’50 e ’60.
Gentle On My Mind di Glen Campbell è uno di questi 10 straordinari ceselli di filolgia musicale (anche se il migliore è proprio la traccia di apertura, Losing You), laddove ad un’impressionante qualità esecutiva degli arrangiamenti strumentali, si abbina la sua voce, che è indiscutibilmente quello spaccato di paradiso, quel Coro del Bene celeste fuso in un unico canto, a cui Alison ci ha legati come ai ricordi di una ormai lontana melopèa pascoliana. E’ proprio nella rilettura così misurata, senza strappo alcuno, così discreta e rarefatta, l’elemento in cui risiede la grandezza della Krauss, la quale riesce sempre a dare notevole spessore emotivo, laddove sembrerebbe risiedere un’estetica parzialmente analgesica e impersonale. Alison Krauss è forse l’unica artista, proprio perchè così dotata di carisma e riconoscibilità, a porsi come anello mancante tra il bluegrass e il country mainstream, avendo la forza di accompagnare i suoi (numerosi) estimatori in un percorso di continui rimandi tra quei due segmenti artistici (tradizione acustica e spinte alla modernità), utilizzando con coraggio la strada a ritroso del Nashville Sound dei Sixties. Buddy Cannon la obbliga a riporre nella custodia il suo inseparabile violino per dare alla sua voce una nuova cornice, una dimensione ancora più ampia, quasi sinfonica, in totale spregio della sua dolcissima incorporeità. (Steve Betweenchickens)