Spesso nella sua carriera Bruce Springsteen ha attraversato l’America, fisicamente e metaforicamente, accumulando esperienze che ora mette a frutto, alla vigilia delle settanta primavere, con un lavoro intenso, accorato e fortemente coeso. “Western Stars” è un disco che unisce l’amore per la letteratura, il cinema e le sonorità che Bruce, nella sua età matura, ha riscoperto andando a ripescare via via folk, country e pop. Tutto questo è appunto un album che descrive benissimo le sue sensazioni e che fa emergere malinconia, disincanto e realismo in un affresco che può suonare patinato ai ‘duri e puri’, a quelli che vorrebbero sempre un “The River” o un “Darkness On The Edge Of Town” ma che intriga con gli ascolti come da tantissimo tempo non accadeva. “Western Stars” è da fruire come fosse un film, non basta soffermarsi su una scena o su un solo dialogo per esprimere il proprio giudizio, è nella sua interezza, nei passaggi (anche) orchestrali, nelle sfumature della voce, nelle liriche di una scrittura spesso profonda ed introspettiva. Dai suoni si possono percepire rimandi a “Tunnel Of Love”, a “Devils & Dust”, a “The Rising”, a “Working On A Dream” ma qui siamo di fronte ad un quadro più complesso, dettato dalle mille difficoltà, delusioni, speranze e angosce di un carattere complesso, spesso incompreso, pur con l’enorme amore profuso dai milioni di fans in tutto il mondo. Da “Hitch Hikin’” a “Moonlight Motel” si snoda un viaggio interiore che in molti momenti regala emozioni vere, inciampa in un paio di ‘tappe’ ma che scorre nitido come i cieli del west, quei cieli del deserto che quarantanni prima, nelle ‘tortuose strade dello Utah’, lo poneva come straordinario poeta rock. (Remo Ricaldone)