Definire gli Infamous Stringdusters semplicemente una ‘bluegrass band’ è quantomeno impreciso e non riconoscente per la tanta strada fatta dal quintetto di Charlottesville, Virginia in fatto di ricerca di un proprio suono e di nuovi confini alle proprie composizioni. Naturalmente il retaggio bluegrass è quello che fa da base ed emerge spesso dai ‘solchi’ di questo “Laws Of Gravity” ma quello che maggiormente colpisce è l’apertura verso certa country music ma anche l’istinto ‘jam’ insito anche in band come Trampled By Turtles, Steeldrivers e Chatham County Line con le quali i nostri condividono ideali ed aspirazioni. Suono il loro elegante ed impeccabile ma sempre convincente, caldo e coinvolgente, aggiungendo in molti momenti una profonda capacità introspettiva e di ‘storytelling’ (in “Maxwell” e “1901: A Canyon Odydssey” soprattutto), una verve vicina al soul e al rock nelle parti vocali e quella struggente nostalgia per i ‘good old times’ pur in un contesto contemporaneo e comunque prettamente acustico. The Infamous Stringdusters hanno poi quel perfetto amalgama strumentale che ne rende le interpretazioni contagiosamente godibili, dallo strepitoso Jeremy Garrett al fiddle al banjo, puntuale e solidissimo nelle mani di Chris Pandolfi, dal sinuoso dobro di Andy Hall al contrabbasso di Travis Book, per finire ‘last but not least’ alla chitarra acustica e alle parti vocali curate da Andy Falco. Da rimarcare alcune delle loro migliori composizioni come l’apertura, significativa nelle intenzioni, di “Freedom” (“…I need a new song as I hit the road again..”) ad indicare quanto importante sia l’esplorazione di nuovi territori, alla tradizionale (nei suoni e nei testi) “A Hard Life Makes A Good Song”, dalla splendida “Black Elk” in cui rivive il West nelle sue componenti più poetiche ma anche drammatiche alla nitida “Gravity”. Ancora da citare “This Ol’ Building” che mischia gospel , blues e soul in una visione corale di grande impatto, una “Soul Searching” che mi riporta in mente i New Grass Revival meno ‘avventurosi’, l’accorata “Back Home” con tutto il suo carico di nostalgia, argomenti e sensazioni che non mancano mai in un album che ha il bluegrass nei geni e la conclusione affidata ad una “I Run” in cui riemerge la passione ‘jam’ e l’amore per i citati New Grass Revival. Questo settimo lavoro degli Infamous Stringdusters contribuisce in maniera fattiva a mantenere alto il nome di una scena, quella acustica e legata alle tradizioni, sempre propositiva ed interessantissima.(Remo Ricaldone)