Melvin Litton, colui che c’è dietro al nome di The Gothic Cowboy, è un personaggio molto particolare e al tempo stesso incarna la classica figura del visionario, del musicista errante all ricerca perenne di ispirazioni autentiche seguendo l’esempio di Leadbelly, di Woody Guthrie, di Ramblin’ Jack Elliott e inevitabilmente di Bob Dylan. Dal Canada al Texas, dal Colorado a Nashville fino all’attuale residenza in Kansas, il ‘cowboy gotico’ ha fatto musica seguendo unicamente lo scopo di raccontare l’America più vera, quella in cui vivono coloro che generalmente non hanno voce , quella della canzone folk e della country music più tradizionale. Le sue radici hanno compreso anche rock’n’roll e blues ma, dopo una lunga esperienza nella Border Band, quartetto dalla solida musicalità e dal ruspante approccio, Melvin Litton ha intrapreso una carriera solista con questo curioso pseudonimo, legando il percorso al bravissimo Mando Man, all’anagrafe Dan Hermreck. “Between The Wars”, doppio cd dalla notevole consistenza sia qualitativa che temporale, fissa ora le coordinate del loro lavoro presentandoci un affascinante repertorio che ci porta sulle polverose strade del folk e del country con frequenti colorazioni western, mantenendo sempre la barra dritta in un viaggio coerente ed ispirato. Il primo disco si apre con l’esemplificativa “Border Blues” che con l’armonica che si staglia sugli intrecci di chitarra acustica e mandolino porta l’ascoltatore in quei luoghi dell’anima propri del confine tra Messico e States, luoghi dove il deserto è attraente e pericoloso, poetico e misterioso. Le storie narrate in questi due cd sono spesso drammatiche, quasi ‘noir’, ma sempre pervase da atmosfere seducenti ed è difficile estrapolare un momento da un romanzo i cui capitoli sono così strettamente connessi. Nella prima parte “Pretty Mary”, la lunga title-track “Between The Wars”, “Marijuana Fields” dalle tonalità tradizionali, “Summer Days Are Long” e ancora “Cold Ohio City” e “Caspion & The White Buffalo” sono momenti da rimarcare per passione e profondo amore per quello ‘storytelling’ che ha fatto grandi I musicisti citati in precedenza. Le interpretazioni sono vere e profondamente vissute e nella seconda parte spiccano “Creek-Bank Ghetto Boys” con tutto il fascino ‘old-timey’ dei vecchi dagherrotipi western, “Indian Land”, “Colorado Gambler”, “Murder Of Bob Rose”, “Montana Bound” e “War Wind”, già dai titoli intensi quadretti in cui ci si immerge a fondo e non si fa caso alla lunghezza di un album che supera tranquillamente le due ore. Consigliato a chi ama la folk song più tradizionale e  la country music delle origini. (Remo Ricaldone)