I Carloways, scozzesi dell’area di Perth, sono amici con la grande passione per la musica americana che debuttano, dopo una lunga gavetta fatta di concerti nei club e nei festival di casa, con un album che fotografa molto bene suoni che devono sia all’America (Jayhawks, Avett Brothers e Ryan Adams su tutti) che alle radici celtiche mischiate con il rock ed il pop (Pogues e Proclaimers). Prodotti da un nome che nel Regno Unito gode di ottima considerazione, quel Paul McInally che ha trascorsi pop con i Florence And The Machine per esempio, i Carloways hanno inciso un lavoro dove armonie pop e fascinazioni rock incontrano country music e folk con uno stile piacevolissimo e godibile. Il frontman Mikey Maclellan guida con mano sicura una band promettentissima che fa del romanticismo e del ‘sense of humor’ quel valore aggiunto che rende le canzoni credibili e sincere, spesso con l’aggiunta di armonica, pedal steel e chitarre limpide e cristalline, di armonie vocali modulate e di una penna ispirata. “1,2,3 (Oh Well)” è l’introduzione e lo specchio più autentico del loro sound, un uptempo dove l’amore per Dylan e per la tradizione è vivo e vibrante, seguito da un momento dove ci si avvicina al soul più classico di scuola Motown, vicino allo spirito di band britanniche come gli Housemartins. La varietà di temi è uno dei motivi per apprezzare il disco, dall’acustica ed accorata  “December” alla dolcezza country di “Lonesome”, dall’armoniosa e ‘folkie’ “It Would Not Matter” al contagioso pop-rock di “Twenty Two” guidato da una ispiratissima armonica. Da citare ancora “Library”, perfetto esempio di ‘americana’ arricchito da una bella pedal steel e e la intimista “How It’s Meant To Be” che congeda una band tra le migliori realtà indipendenti in Gran Bretagna (Remo Ricaldone)