Southern rock, blues e i suoni più classicamente rock rappresentano il forte legame di amicizia e di fratellanza, come dice il titolo del loro nuovo, terzo album, che unisce i quattro musicisti che compongono i canadesi Terminal Station. La voce e le chitarre del leader  Scott Smith, il basso nelle mani di Jeremy Holmes, i tamburi dietro ai quali si siede Liam MacDonald, le tastiere di Darryl Havers sono alla base di un sound certamente derivativo ma sempre godibile e credibile, con l’aggiunta dell’armonica di Vic Polyik, ex membro della band che si è unito ai vecchi pards in queste sessions a dimostrazione del forte sentimento che associa chi è passato nelle fila di questo interessante combo. E se l’iniziale strumentale “Barrelhouse” definisce le coordinate blues con il suo incedere ‘hard’, con la seguente “One More Bottle” veniamo catapultati nel mondo ‘southern’ con un brano in cui sembrano rivivere i migliori Allmans. “Poor Lightning” è un rock che si avvicina ai Creedence più ‘bluesy’ ed elettrici, “Chicago Calling” è già dal titolo un programma, tra blues ed influenze che rimandano ai Little Feat, “Ain’t Giving Up On Rock’n’Roll” è trascinante rock, “If You Don’t Know Me Now” rallenta i ritmi con un una intensa blues ballad, “Take Me Back Or Let Me Go” è irresistibile per grinta e convinzione, uno shuffle pregevolissimo mentre “It’s Not The End Of The World” è un tagliente rock con venature blues che riporta alla grande stagione del ‘british blues’. Da citare ancora il bel blues di “One More Shot” in una interpretazione sciolta e brillante, da manuale, “Nothin’ But Trouble” che segue il ‘fil rouge’ blues, “Booker D” tra Allman Brothers e Booker T. Jones e la chiusura affidata a “Voodoo Queen”, rock ancora in odore di Creedence. Bel disco questo che scorre benissimo e che, pur con tanti inevitabili riferimenti, si gusta con grande piacere. Unico piccolo neo una copertina decisamente anonima che non invoglia, ma come dicono gli americani “you can’t judge a book by its cover”. (Remo Ricaldone)