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Steve Brooks è uno della ‘vecchia scuola’ country e folk, bravo ed intelligente ad unire i due idiomi attraverso liriche immediate ma al tempo stesso profonde e un suono variegato e fresco. Nato a Chicago, cresciuto in Pennsylvania e da tempo residente ad Austin, Texas, Steve Brooks ha da sempre subito il fascino della musica, componendo e suonando nei momenti liberi dal cosiddetto ‘day job’. L’impegno ambientalista e il giornalismo sono state le sue principali attività dalla fine degli anni settanta e per gli anni successivi, per poi concentrarsi esclusivamente sulla musica dopo il trasferimento nel Lone Star State. Le sue canzoni hanno ricevuto buoni riscontri attraverso le interpretazioni di musicisti come Slaid Cleaves, Albert & Gage, Danny Santos e altri del giro texano. Ha al suo attivo sette lavori in cui ha saputo caratterizzare storie rilevanti con la sua sensibilità, il suo humor e la sua forza interiore, doti e caratteristiche che appaiono anche nel suo più recente “I’ll Take You Home”, album ricco di spunti interessanti e validi. L’inizio di “Chasing Grace” con le sue sfumature quasi western è una dichiarazione di intenti, con il fiddle di Darcie Deaville che imperversa lungo tutta la durata del brano, una perfetta introduzione ad un disco che ha i suoi punti di forza in una “Juliet” dove le atmosfere acquistano ‘elettricità’ risultando tra le più ‘radio friendly’ della selezione e in un’ironica e gustosamente honky tonk “Don’t Tell Me I’m Obsolete”, solida e frizzante. Da sottolineare ancora l’intrigante “The Best Is Yet To Come”, rilassata e dal fascino senza tempo, molto anni settanta tra Jesse Winchester e il Jimmy Buffett degli esordi, “Austin Found” la cui melodia rimanda un po’ a “Gentle On My Mind” e celebra il fascino della capitale texana e della magnifica ‘Hill Country’, il delizioso western swing di “Yoga Lady” con immancabile yodel, “Still Got A Little Wild In Me” dove torna il country-rock e la telecaster di Steve Brooks, con le chitarre di Jeffrey Tveraas rafforzano la canzone e, degna chiusura, la soffice “I’ll Pretend To Be Your Prince” dove spicca il banjo di Eddie Collins, interessante musicista texano. Bel disco che rimanda spesso ad una country music con influenze folk come se ne facevano quaranta e più anni fa, con immutata freschezza.(Remo Ricaldone)