Canadese dell’Alberta, Skinny Dyck è tra coloro che con grande passione, nonostante i budget limitati delle produzioni indipendenti, cerca di riportare la country music sui binari della tradizione, pur aggiungendo il suo tocco personale che a volte lo avvicina a certo indie folk. Dopo il debutto di un paio di anni fa intitolato “Get To Know Lonesome” è la volta di questa via di mezzo tra un ep e un album a lunga durata, otto brani che lo rivelano, per chi ancora non lo avesse incrociato, come autore sensibile e performer appassionato. La produzione, essenziale e azzeccata, è di Billy Horton (già dietro alla consolle per Charley Crockett) che ha portato il nostro in Texas e lo ha saggiamente guidato attraverso i suoni più adatti alla sua ‘missione’: steel guitar, chitarre ricche di ‘twang’ e una leggera sezione ritmica che fanno da supporto ad una interessante vena compositiva. E’ senz’altro un suono ‘vintage’ il suo ma che non manca di sottolineare la volontà di risultare contemporaneo pur volendo sempre staccarsi dal mainstream. “Palace Waiting” è nel complesso un lavoro accattivante in cui non mancano le attitudini ‘alternative’ come l’iniziale “Hey Who’s Counting?”, ballata cadenzata che da’ subito l’idea dell’autenticità del personaggio, seguita da “In On The Upswing”,  una magnifica country song con la pedal steel a mandare i giusti segnali e che conquista con la sua semplicità. “TV Blue” ha ancora il sapore dei classici, nuovamente con un gran lavoro di chitarre elettriche, gusto e sostanza al servizio di una country music ‘old-fashioned’, così come “Cutting Off All Ties” ci riporta ad atmosfere tra gli anni cinquanta e sessanta e “Jackson Hole” che ribadisce quanto Skinny Dyck voglia tenere un piede nella tradizione e uno, come in questo caso, nei suoni più contemporanei. “Palace Waiting” prosegue poi con un trittico formato da “Ripe There On The Vine” ancora sulle tracce della country music più genuina (e ancora con una steel che ‘fa i numeri’) e dalle due ‘bonus tracks’, “Be A Little Quieter” firmata da Porter Wagoner e “No Power Over Me” che chiude l’album senza deludere. Disco breve ma ricco di spunti. (Remo Ricaldone)