Con diciotto dischi d’oro e di platino, cinque Grammy Awards e il Premio Kennedy, Willie Nelson è un’autentica icona della musica contemporanea. L’aspetto più interessante della sua carriera di autore, cantante e chitarrista, però, è la capacità di rinnovarsi continuamente, il suo eclettismo, il coraggio di cambiare strada quando farlo diventa indispensabile per restare fedele a se stessi. Così sfidò il conservatorismo di Nashville con dischi spontanei, briosi, controcorrente e poi le trecce, la bandana e la sua amica Trigger, fidata vecchia chitarra acustica.

“Mi rendo conto che la tempesta è appena iniziata. Ogni notte, nuvole d’un temporale impetuoso portano via la luna e ogni giorno le stesse nuvole portan via il sole. Il mio mondo è pieno di oscurità e sono perso senza il tuo amore”, questo testo Nelson lo scrisse a dodici anni, quando suonava con una band di polka ad Abbott. È incredibile quanto fosse già così matura la sua capacità espressiva. Molto tempo dopo, nel 1955, con le attrezzature della stazione di KBOP, a Pleasanton, dove lavorava come disc jockey, registrò il pezzo su un nastro e lo inviò a diverse case discografiche. Non ebbe grande fortuna, ma, da lì in poi, si fece un nome come autore di brani. Ne compose di straordinari come “Crazy” per Patsy Cline, “Funny How Time Slips Away” per da Billy Walker e “Hello Walls” per Faron Young.

Così si lasciò definitivamente alle spalle una giovinezza trascorsa coi nonni, dopo che i suoi avevan divorziato, e iniziò a percorrere la sua strada. “Può sembrare banale, ma la verità è che eravamo infelici nei beni materiali, eppure ricchi di amore. Oltre alla nostra fattoria e ai nostri animali, l’amore era ciò che ci sosteneva. Avevo vitelli e maiali, creature che allevavo e nutrivo. Ricordo di essermi preso cura di un vitello così piccolo da poterlo riporre sul mio petto”, ricordò sempre con parole dolci quel mondo semplice di fatto di sacrifici ed umiltà, di lavoro nei campi di cotone, a contatto con messicani e afroamericani che gli insegnarono canzoni di speranza.

Nel 1962, firmò con la Liberty Records e ottenne il successo sperato. Esordì tra i primi dieci nelle classifiche con le canzoni “Touch Me” e “Willingly”. Il 28 novembre 1964 debuttò al Grand Ole Opry e da allora divenne un’ospite frequente del celebre palco country, tuttavia Nelson non era ancora ciò che conosciamo oggi. Rispondeva perfettamente ai canoni estetici e musicali di Nashville, aveva i capelli corti e curati, indossava giacca e cravatta, la sua musica risultava melensa, era davvero alla moda.

La sua insoddisfazione esplose di lì a poco. Assieme ad altri artisti, si rese conto che l’establishment della Music City stava esercitando un freno al suo estro, una gestione asfissiante e tentacolare sulla propria attività, reprimendo la sua creatività, temprando la sua individualità. Subitaneamente firmò per la Atlantic Records, che mai prima di allora aveva prodotto country, registrando due album rivoluzionari, “Shotgun Willie”, nel 1973, e “Phases and Stages”, nel 1974. Venne pure la volta di “Red-Headed Stranger”, con la splendida title track che narra la storia di un cowboy con il cuore spezzato che uccide una donna per aver toccato il cavallo della moglie defunta. Willie Nelson aveva trovato la sua identità collaudando un canto rilassato, a volte nasale e a volte roco, ed uno stile musicale che miscelava country, jazz, pop, rock e folk. Era se stesso, oltre ogni classificazione, al di là dell’etichetta.

Le produzioni di questi anni suscitarono l’interesse di un pubblico giovane e anticonformista, in sintonia con quanto stavano realizzando altri cantanti, i cosiddetti “outlaws”, che rifiutavano il controllo dei manager di Nashville sulla loro musica, allontanandosi da suoni stereotipati, appiattiti, montoni. Per sfuggire al dominio delle grandi etichette discografiche, gli outlaws abbandonarono Nashville e si affidarono a produttori e musicisti pagati di tasca propria. Riscoprirono sonorità più vere, prive di artifici. Il sound del movimento si configurò come qualcosa di scarno, con chiari richiami al country classico e all’honky tonk. “Nel bagliore del crepuscolo vedo occhi azzurri che piangono sotto la pioggia. Quando ci siamo salutati e ci siamo separati. Sapevo che non ci saremmo mai più rivisti. L’amore è come un tizzone morente”, poesie come “Blue Eyes Crying in the Rain”, un vecchio pezzo di Hank Williams che Nelson reinterpretò, divennero capofila di un revival country tradizionale eppure stranamente giovane. Più in generale, nei testi si tornava ai temi del dopoguerra, si parlava di alcol, droghe, sesso, e così si creava scandalo, si finiva col cozzare contro il perbenismo dell’ascoltatore medio della country music. Anche nell’immagine questi artisti rompevano con il conformismo di Nashville: Willie fumava marijuana, portava i capelli lunghi e vestiva da hippie.

Scelte simili furono coronate, nel 1976, da una compilation di successo che lo vide accanto a Waylon Jennings e Jessi Colter, “Wanted! The Outlaws”. Quello divenne il primo disco di platino nella storia country. Rilasciato il 12 gennaio 1976, l’album raggiunse il primo posto nelle classifiche country ed il decimo nella classifica pop, guidato dai singoli “Suspicious Minds” di Jennings e Colter e “Good Hearted Woman” che Nelson cantò in duetto con Jennings. Questo brano arrivò al numero uno nella classifica Billboard’s Hot Country Singles. Fino ad allora non era mai stata certificata la vendita di un milione di dischi, quindi è probabile che altri prima degli outlaws abbiano superato quel traguardo commerciale, ma “Wanted! The Outlaws” resta il primo album di platino ufficiale nella storia della musica country e nel 1985 fu addirittura certificato doppio platino.

Raggiunta la notorietà, nel 1977 Nelson osò rimettersi in gioco e sfidare anche gli outlaw. Prese una serie di canzoni di Hoagy Carmichael, Duke Ellington, George e Ira Gershwin e Irving Berlin e registrò così “Stardust”, una raccolta dei brani pop da lui amati durante l’infanzia, tutti rielaborati nel suo personalissimo stile. Fu un successo che stupì la stessa Columbia Records che solo a quel punto incrementò la produzione di copie. L’album toccò la prima posizione nella classifica Billboard Top Country Albums e la numero trenta nella Billboard 200. “Stardust” divenne disco di platino nel dicembre 1978 e fu nominato Top Country Album of the year. Resta tuttavia difficile ancora oggi, per la critica, comprendere come un album del genere, in quel momento storico, abbia ottenuto tanto consenso di vendite. Quelli della Columbia gli avevano detto: “Non è una buona idea. Costa troppi soldi, le canzoni sono vecchie, nessuno vuole più ascoltare roba come questa”. Invece, il 13 agosto 1988, “Stardust” raggiunse ufficialmente i dieci anni consecutivi nella classifica degli album country di Billboard e, ad oggi, è quintuplo disco di platino.

Negli anni Willie Nelson si contraddistinse come attivista per i diritti civili e l’ambiente. Si rese protagonista di un forte attivismo sociale, appoggiando le campagne per la legalizzazione della marijuana e quelle per l’uso dei biocarburanti, sostenendo inoltre le iniziative del movimento LBGT e prendendo posizione contro le armi. Gli si schiusero pure le porte della cinematografia, sebbene la vita priva fu scossa da divorzi e problemi col fisco. Fu proprio in occasione di un film che compose il suo brano più rappresentativo, “On The Road Again”. Il pezzo narra della voglia di tornare a viaggiare, di vivere in un continuo tour di festa, incontri ed esperienze con gli amici. Fu scritto in aereo, accanto al produttore Sydney Pollack ed al regista Jerry Schatzberg che gli avevano appena offerto il suo primo ruolo da protagonista, in Honeysuckle Rose. “On The Road Again” vinse un Grammy Award per la migliore canzone country nel 1981.

E si rimise ancora sulle strade, con le trecce, la bandana, la sua Trigger, ritrovando Jennings nel supergruppo The Highwaymen, con Kris Kristofferson e Johnny Cash. Nelson, ormai ottantottenne, ha trascorso la maggior parte della sua vita a bordo di tour bus, facendo più di cento spettacoli l’anno. Con un slancio inesauribile, nonostante il covid, nel 2020 ha pubblicato “First Rose of Spring” e nel 2021 l’omaggio a Sinatra “That’s Life”. ( Angelo D’Ambra)