Sesto album per la band californiana guidata con mano sicura e buon piglio da Rich Dembowski, autore ispirato e voce solista e da Woody Aplanalp le cui chitarre sono uno dei punti più significativi di un suono fresco e brillante che rimanda alla lunga tradizione del Golden State tra country e rock. I Grateful Dead più acustici e legati alle radici, certe armonizzazioni vocali classiche dei Beach Boys, la nitida ricerca delle melodie dei Jayhawks sono solo alcuni riferimenti degli Old Californio, dal 2007 capaci di ridipingere e ridefinire con talento l’incontro tra i molti suoni che in California hanno subito un trattamento unico e fortemente riconoscibile. “Metaterranea” segue di un anno appena il precedente “Old Californio Country” che era basato essenzialmente su cover, dando ora il giusto spazio alla penna di Rich Dembowski e riproponendosi nella maniera migliore con il loro ormai tipico e colorato country-rock. “Old Kings Road” è l’introduzione perfetta e apre con un momento che rimanda a Tom Petty e alla vitalità del ‘Bakersfield sound’ con l’apporto della lap steel di Paul Lacques, già con gli I See Hawks In LA e alla corte di Chris Hillman e Stan Ridgway. “Come Undone” è tra i Jayhawks e i ‘midtempo’ cadenzati della Band del compianto Robbie Robertson con una melodia che conquista per semplicità e naturalezza, mentre “The Swerve” non può che far ricordare le armonie di Brian Wilson e soci. La parte centrale del disco è più acustica ed evocativa, rilassata e ricca di spunti, con la bella “Destining Again” che ci riporta ai gloriosi giorni del country-rock degli anni settanta e la soffice ed eterea “Weeds (Wildflowers)”. Con “The Seer” si riattacca la spina con chitarre elettriche che si avvicinano ai Crazy Horse di Neil Young per poi avvicinarsi alla chiusura affidata alle nostalgiche sensazioni ‘sixties’ di “Through The Days (And Past All Nights)” e a “Just Like A Cloud”, ballata di grande effetto che vuole riprendere certe atmosfere ‘sospese’ nello stile di Fred Neil, atmosfere anche in questo caso legate agli anni sessanta e ad un cantautorato libero da etichette e costrizioni. Degno congedo di un lavoro equilibrato e dai molti volti, tutti che concorrono a creare un affascinante ‘patchwork’. (Remo Ricaldone)