Montecchi e Capuleti, Orazi e Curiazi, carnivori e vegani, ciclisti ed automobilisti…. con un po’ di ironia ci rendiamo conto che esistono categorie che non potranno mai andare davvero d’accordo. Ci sarà sempre la curiosità di “assaggiare “ una realtà diversa dalla propria ma questo istinto non verrà mai rivelato, a costo di custodirlo fino all’ultimo respiro esalato in nome della propria “fede”.
Così “monta inglese” e “monta americana” si sono sempre guardate in cagnesco dalla notte dei tempi, pascendosi più di stereotipi che di fatti reali.
Da un lato la monta classica, tecnica, leggera, elegante. Il tipo di monta che anche in America spesso viene utilizzata come approccio all’equitazione grazie all’assetto corretto che conferisce. Secoli di storia hanno sviluppato discipline così diverse da restare sconosciute ai profani che si limitano a vedere pantaloni bianchi e stivali lucidi. Ma non vedono il fango, lo stesso che viene spalato dagli appassionati del mondo western. Non vedono il dolore, le cadute, lo sporco, le medicazioni, la fatica vera, quella che spezza un uomo indipendentemente dalla foggia dei pantaloni che indossa. Non vedono che dietro l’apparente eleganza esiste una resistenza da minatore che cerca di trasformare la forza di un braccio di ferro con un avversario di 5 quintali, in leggerezza, in collaborazione, in amicizia. Questo, naturalmente, solo quando si vuole fare buona equitazione.
Dall’altro la monta americana, o western, giovane e leggendaria al tempo stesso, con le sue selle lavorate, i finimenti morbidi che coniugano fascino e praticità, il mito e l’orgoglio dello stivale sporco. L’appassionato di monta inglese vedrebbe subito speroni troppo severi, imboccature violente, transizioni brusche e talvolta perfino lesive per cavallo. Ma queste persone non vedono tante cose. Non vedono chi cerca di trovare una comunicazione morbida con il proprio compagno. Non vedono la monta in capezza. Non vedono la simbiosi di lunghi tragitti compiuti insieme, magari perfino lavorando il bestiame, non vedono la fiducia di chi sorride al galoppo abbassandosi la tesa del cappello oltre il riflesso del sole, di chi lavora insieme al suo cavallo come fossero un unico corpo, di chi regala il primo sorso d’acqua al proprio compagno, ancora prima che a se stesso.
Questo, naturalmente, solo quando si vuole fare buona equitazione.
Mi chiedo quindi quando sarà possibile vivere il mondo country, come io stessa faccio in diversi ambiti, potendo rispondere “Sì, monto a cavallo da 25 anni e (nel caso mi venga chiesto) faccio monta inglese” senza essere guardata con un sorrisetto di superiorità riservato alla principessina che non sarà mai veramente della partita. Potrei fermarmi a mostrare le mie vesciche, le lacrime, i quintali di sterco che ho pulito, la scelta di far vivere il mio amico all’aperto, più vicino alla natura di molti cavalli americani. Ma non lo faccio. Non parlo neppure. Non giudico chi mi sta davanti con scritta sprezzantemente in volto la sua scelta tutta americana. Sulla mia fronte non è inciso nè l’orgoglio a oltranza per una monta che spesso purtroppo viene praticata in modo sbagliato, nè tantomeno la disapprovazione per un altro tipo di monta, quella americana, che se praticata correttamente brilla per la sua dignità ed il suo fascino.
Mi piacerebbe che nessuno dovesse sentirsi di giustificare la propria scelta, di difenderla dai pregiudizi. Mi piacerebbe che non ci fosse proprio una frontiera da difendere.
Mi piacerebbe che nel giudizio e nella coscienza di chiuque non esistesse la distinzione tra monta inglese e monta americana, ma solo tra buona e cattiva equitazione. (Sara Albanese)