05-ogQuando viene a mancare un musicista che ha scritto pagine indelebili della Musica Americana non è facile, più che riassumere una carriera, seppur lunga e corposa, fissarne le coordinate e cercare di leggerne l’effettiva importanza lungo una grande parte della storia statunitense. Il 79enne Merle Haggard, singolarmente scomparso il giorno del suo compleanno il 6 aprile scorso, ha attraversato le varie decadi, dagli anni cinquanta in avanti, mantenendo intatto uno spirito pugnace e genuino, indifferente al ‘politically correct’, incarnando una sorta di ‘outlaw ante-litteram’ per efficacia e maestria. Già l’episodio legato al suo ‘imprinting’ musicale ha del leggendario: in carcere a San Quentin nel 1958, dopo un tentativo di rapina ad un roadhouse di Bakersfield (sua città natale) e successiva tentata evasione dal carcere locale, scopre la country music attraverso una delle storiche apparizioni di Johnny Cash nei penitenziari americani e, al rilascio nel 1960 dedica anima e corpo alla musica, sua vera ancora di salvezza. Personaggio in qualche maniera ‘scomodo’, spesso polemico ed intransigente, Merle ha profondamente amato musicisti come Jimmie Rodgers, Bob Wills, Lefty Frizzell, Hank Williams Sr. e naturalmente lo stesso Johnny Cash, mantenendo la barra dritta e cercando di interpretare la sua country music nel doppio binario della tradizione e del rinnovamento, con spirito indomito e propositivo.
merle-haggard_capitol-edit-dlCon Buck Owens ha contribuito a creare e a plasmare un suono personale all’interno del mondo della country music, quel ‘Bakersfield sound’ che vanta tuttora tantissimi estimatori e discendenti, tanto da definire la cittadina californiana ‘Nashville West’. Merle Haggard, figlio di emigrati dall’Oklahoma al tempo della ‘Grande Depressione’, non ha mai dimenticato le proprie radici, raccontando le sofferenze, le speranze e le (poche) gioie dell’uomo comune, del lavoratore. Non a caso uno dei suoi classici si intitola “Working Man Blues”, pubblicato nel 1969, così come altri hits che a fine anni sessanta lo portarono al centro di feroci polemiche con l’accusa nei suoi confronti di essere reazionario ed eccessivamente conservatore. La profonda accusa nei confronti dell’allora diffuso movimento hippie di “Okie From Muskogee” o la aggressività e il filo militarismo di “The Fighting Side Of Me” (sempre del 1969, in piena guerra del Vietnam) lo hanno etichettato come nostalgico e retrogrado, immagine stereotipata e, nel suo caso almeno approfondendo la sua carriera, ingiusta. Innumerevoli grandi canzoni hanno nobilitato la sua pluridecennale carriera (magnificamente descritta da un box di quattro cd intitolato “Down Every Road” che copre il periodo dal 1962 al 1994) e non si possono non citare titoli come “Swinging Doors”, “The Bottle Let Me Down”, “Mama Tried”, “I Take A Lot Of Pride In What I Am”, “White Line Fever”, “Tulare Dust”, “Honky Tonk Nighttime Man”, “Red Bandana”, “Ramblin’ Fever”, “Kern River”, dando uno sguardo a tutto tondo di un magistrale autore ma anche di un sensibile interprete.
Merle-Haggard-1200x545_cMerle Haggard ha saputo rimanere fedele alla propria immagine di solido e inappuntabile country artist anche attraverso i naturali cambi di stile all’interno del genere, ispirando non solo musicisti di quell’ambito ma anche musicisti rock che hanno saputo cogliere passione e sincerità, cuore e umanità. Negli ultimi vent’anni circa si sono naturalmente rarefatte le sue apparizioni discografiche, comunque rimarchevoli e degne di nota, dalla rilettura di alcuni classici di “Working Man’s Journey”, progetto gustosamente autobiografico pubblicato tramite e grazie alla catena di ristoranti Cracker Barrel a “Working In Tennessee”, altra ‘zampata’ di grande classe. Discorso a parte merita quello che si può considerare il vero ‘canto del cigno’ ovvero “Django And Jimmie” (2015), inciso con l’amico Willie Nelson, un vero capolavoro di misura e poesia, indimenticabile gioiello di ‘american music’. Ora non resta che ringraziare per aver avuto l’opportunità di apprezzare un’icona come Merle Haggard, con la consapevolezza che l’immortalità della sua musica contribuirà in futuro a far nascere e maturare tanti ottimi talenti. (Remo Ricaldone)