Il nome di Jude Johnstone dirà poco, non ama ‘esporsi’ più di tanto anche se è sulle scene da circa quattro decadi e le sue canzoni sono state incise da gente come Bonnie Raitt, Emmylou Harris, Mary Black, Trisha Yearwood, Stevie Nicks e anche da Johnny Cash. La cantante nata ad Ellsboro, Maine ha inciso otto dischi il cui peso poetico è sempre stato notevolissimo e ora, fedele al suo carattere schivo, ha registrato il suo nuovo album nel salotto di casa sua ad East Nashville, intitolandolo naturalmente “Living Room”. Dieci canzoni intense e commoventi in cui Jude si accompagna al piano e ospita una manciata di musicisti che la aiutano a rivestire la sua narrazione con colori tenui ma efficacissimi. Lievi percussioni, un cello, una pedal steel, un basso (il bravissimo sideman di Nashville Dave Pomeroy), una fisarmonica (l’immenso Matt Rollings, tastierista di casa a Music City), qualche fiato, un penny whistle a regalare sfumature ‘irish’, questi sono i contrappunti strumentali che affiancano il piano di Miss Johnstone in un percorso accorato e intimo. “Is There Nothing” inizia con un approccio che ricorda le sorelle McGarrigle, semplice ed incisivo mentre la seguente “My Heart Belongs To You” profuma d’Irlanda e “That’s What You Don’t Know” vede l’aggiunta della voce di Hunter Nelson, co-autore della bella melodia. Un trittico suggestivo che è garanzia di talento e classe, atmosfere riflessive da centellinare per goderne appieno le sfumature, melodie che smuovono anche i cuori più duri. “All I Ever Do”, “One Good Reason”, la bella “Seasons Of Time” con Ben Glover alla voce e lo stesso Orphan Brigade co-autore, “I Guess It’s Gonna Be That Way” e “Paradise”, interpretata in perfetta solitudine al piano, mostrano nella loro essenzialità tutto il potenziale lirico di una cantautrice di grande spessore. (Remo Ricaldone)