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Purtroppo non basta essere nati nel 1970 per essere talentuosi ed avere la certezza del successo nel mondo della musica country. Dico purtroppo perché, se così fosse, anche io oggi (nato in quel meraviglioso anno…) sarei qui a parlare delle mie canzoni numero uno avute in classifica, delle candidature ricevute ai Grammy Awards, dei miei dischi d’oro, di quelli di platino, dei milioni di dischi venduti finora in carriera e del fatto di essere stato uno degli artisti country più famosi degli anni ’90 del secolo scorso. Questo – e altro -, invece, è Jo Dee Messina, la cantante americana stella protagonista indiscussa della decima edizione del Voghera Country Festival, svoltosi nell’ultimo weekend di giugno, e con la quale sfortunatamente condivido solo l’anno di nascita.

CONFERENZA STAMPA
Avevo avuto la fortuna di vedere questa peperina dai capelli rossi per la prima volta dal vivo in Svizzera, nel 2000, all’apice della sua carriera, proprio nell’anno in cui ricevette il premio “Horizon Award” dalla Country Music Association (per la cronaca: sono quasi sei milioni, i dischi finora venduti da Jo Dee…) e devo dire che il paragone al nostro incontro in conferenza stampa è impietoso solo per quanto concerne il fatto che – nel bene e nel male – sono trascorsi quasi 17 anni da quel dì e il tempo lungo il percorso della vita non regala nulla se non sovrappeso e qualche ruga. Ricordavo una performance ordinariamente valida, senza particolari eccellenze, e avevo perfettamente stampata nei miei ricordi la sua minuta statura cui però faceva (e ancora fa) da contraltare un carattere esuberante ed una voce tra le più potenti nel panorama country statunitense. A Voghera, invece, i voti sono decisamente alti, sicuramente sopra la media. Certo, Jo Dee ne ha passate tante da quando toccava il cielo con un dito all’indomani dell’uscita del suo secondo album, “I’m Alright”, che nel 1998 la consacrò stella del mainstream country, dopo l’esplosione (nel vero senso del termine) con “Heads Carolina, Tails California”, hit nella quale si era fortunatamente per lei imbattuta appena due anni prima. Ci vuole anche fortuna nella vita, no? Nel 2000 però doveva registrare il semitonfo del suo terzo disco, “Burn”, perché costretta a concepirlo – come ci racconta a cuore aperto in conferenza stampa – senza alcuna libertà creativa seguendo le “indicazioni” della sua casa discografica, che dettava le condizioni per poter continuare a promuoverla. Un quarto disco prima promessole, poi postposto ed infine annullato; i falsi amici che quando le cose iniziano ad andare male scompaiono… i “backstage” di Nashville non sono sempre edificanti, in effetti, specie per chi è alle prime armi. Di altre cose, in conferenza stampa, non si parla ma Jo Dee è passata anche per una bancarotta e per una disintossicazione da alcol che rischiava di sfociare in depressione; un mese isolata nello Utah nel 2004 l’ha aiutata a ritrovare se stessa, ad avvicinarla a Dio e a riavvicinarla alla musica, quella che le piace veramente. Questo aspetto viene fuori durante l’incontro pre-show, quando parliamo dei suoi inizi, di quando si trasferì a Music City per inseguire la chimera del successo: «Ero innocente e questo giocò a mio favore perché non guardavo alle cose negative. Volevo solo andare a Nashville e incidere un disco. Quindi riguardandomi indietro mi rendo conto che è difficile dare sempre un senso a tutto questo e credo che ci sia stata la mano di Dio a darmi un aiuto perché conoscevo davvero pochissime persone quando incisi il mio primo disco ma esse mi sono state accanto…». Fa lunghe pause mentre si racconta, perché ci tiene a esprimersi con le parole giuste e a trasmettere le emozioni che prova: «Le uniche persone che conoscevo allora erano Tim McGraw e Byron Gallimore che mi hanno aiutata ad avere quel successo strepitoso che ha avuto degli alti e bassi… a questo punto della mia carriera abbiamo tutta questa storia insieme ma la mia vita personale è cambiata e la persona più importante nella mia vita è stata ed è Dio. Ora vedo il mondo in maniera diversa… ciò che è vero e ciò che è business. Ora non lo farei più per la mia casa discografica ma lo faccio per Dio.. non so se per voi ha un senso… per me si!» E aggiunge: «Oggi non guardo più la posizione delle mie canzoni in classifica, né tendo a compiacere gli standard del country music business».
Visto che ha nominato Dio, arriva una domanda: cos’è Dio per Jo Dee Messina oggi? «Quello per cui vivo… Nell’industria discografica ci viene qualche volta chiesto di fare cose che non ci va di fare. Non a tutti. C’è una canzone che fa parte del mio nuovo materiale, che si intitola “Will You Love Me”, che rappresenta bene il senso… L’ho scritta quando dovetti curare mia mamma in ospedale per sei mesi e in questi sei mesi nessuno dei miei supposti amici si fece vivo, nessuno di quelli che dicevano di amarmi, che dicevano quanto fossi brava… il testo dice “quando le luci si spegneranno e il palcoscenico diventerà silenzioso… quando il silenzio diventa rumoroso… mi amerai in quel momento?… Quando i giorni vanno avanti freddi e i riflettori si abbassano, quando la gloria finisce… Ti troverò lì? Mi amerai? Mi amerai in quel momento?” … Spesso capita che quando hai un disco che va al numero 1 in classifica ci sono un sacco di persone attorno a te…. Quando non ce l’hai più il tuo telefono non suona… su questo spesso si basano i rapporti tra le persone e questo invece non è la base del rapporto tra me e Dio che è fondamentalmente un rapporto di fiducia… Devi sempre ricordarti che quello che ti circonda quando sei al top non durerà tutta la vita…»
Non può mancare la domanda sulla tendenza della musica country odierna verso il pop: «Quando ho cominciato, più di vent’anni fa, il country pop dicevano fosse rappresentato da Shania Twain e Faith Hill… Quando ero più piccola ad essere pop erano Dolly Parton e Kenny Rogers… E’ sempre un mix, una ruota che gira… ma se ha sempre come ispirazione di fondo la tradizione va bene così. La musica country cambia in continuazione… e oggi a Nashville viene prodotta tantissima musica e molta di essa non è country, ma anche rock, pop… Questo non è male perché il mercato si espande e si crea lavoro. Penso che per la musica country ci sia sempre spazio: arriva sempre qualcuno come Garth Brooks o Brad Paisley che riporta alla tradizione anche nella innovazione»”.
Jo Dee per chi non lo sapesse ha origini italiane da parte di padre e i suoi parenti vivono a Trento. Non è la prima volta che viene in Italia ma è la prima volta che ci viene per suonare ad un festival: «In realtà avevo suonato qui ma solo in basi americane per feste riservate ai militari, quindi in un contesto diverso. Quando mi hanno proposto di suonare a questo festival era felicissima.» E i fan: «In Europa il pubblico si comporta meglio, è più educato e ascolta di più. Stessa cosa in Canada. Negli Stati Uniti invece sono molto più turbolenti, ma sono entrambi divertenti». (Massimo Annibale)