E’ ‘solo’ un ep, cinque brani per poco meno di un quarto d’ora, ma questo nuovo lavoro di Jeff Larson merita di essere segnalato perchè riporta all’attenzione degli appassionati la figura decisamente sottovalutata (dal grande pubblico ma certamente non dai suoi colleghi che ne hanno ripreso spesso le canzoni) di Tim Hardin, sfortunato songwriter scomparso prematuramente all’età di 39 anni dopo una carriera con splendidi gioielli incastonati in una vita purtroppo segnata dalla dipendenza dall’eroina. Jeff Larson, autore, cantante e produttore della Bay Area di San Francisco è stato convinto dall’amico Gerry Beckley, indimenticato membro degli America, ad incidere queste canzoni che sono meraviglie di stile e di  spessore poetico. Gerry Beckley è anche produttore del disco e fondamentale supporto strumentale a chitarre, tastiere e anche batteria, condivisa con il bravissimo Joachim Cooder, figlio di Ry, in una serie di sessions tenutesi tra Australia e California meridionale. L’incipit è dei migliori con una soffusa e brillante “Reason To Believe”, tra le più celebri del songbook di Tim Hardin (rifatta tra gli altri da Rod Stewart, Glen Campbell e Peter, Paul & Mary), seguita dalle suggestioni jazz di “It’ll Never Happen Again” con la tromba di Rick Braun a sottolineare la melodia, morbida e sognante. “If I Were A Carpenter” è un’altra delle magnifiche composizioni di Tim Hardin, motivo dall’aria folk che fu portato ai vertici delle classifiche da Bobby Darin e rifatto anche da Joan Baez, Bob Seger e dalla coppia Johnny Cash/June Carter, qui con un Jeff Larson perfettamente a proprio agio. “Don’t Make Promises” è meno nota rispetto alla precedente ma gode di una piacevolissima aura anni sessanta e qui viene ripresa con intatto il suo fascino originario mentre con “Misty Roses” si torna alle atmosfere jazz sfumate con un arrangiamento di bossa nova nostalgico e suadente. A chiudere questo breve excursus nella poetica di Tim Hardin c’è “How Can We Hang On To A Dream” ancora con inflessioni folk, il flauto di Jim Hoke e il bel violino di Kristin Weber. “It’ll Never Happen Again” ha il merito di focalizzare la riflessione nei confronti di un musicista la cui fragilità e la sensibilità andarono di pari passo con un talento purissimo. ( Remo Ricaldone)