Da anni Jack Gladstone collabora fattivamente con l’Ente Parchi americano in qualità di guida, intrattenitore e figura di riferimento all’interno del magnifico Glacier National Park, al confine tra il Montana negli States e l’Alberta in Canada. Il suo enorme bagaglio culturale derivato dalle sue origini Blackfeet, lo sguardo sempre attento e rigoroso al West, passato e presente, l’impegno nel raccontare storie dei nativi con la passione e l’amore per le sue radici senza però dimenticare la canzone d’autore folk ‘bianca’, tutte queste caratteristiche lo hanno portato ad immedesimarsi in un territorio se possibile ancora oggi incontaminato, pur con tutti i distinguo del caso. Jack Gladstone ha nel suo repertorio la musica, la poesia, i retaggi di due culture che in passato si sono scontrati in maniera durissima e drammatica e che nella sua grande sensibilità convivono in modo splendidamente poetico. Il suo percorso discografico comprende circa tre decadi e negli ultimi anni si è un po’ rarefatto a livello numerico ma approfondito a livello educativo e formativo, mantenendo sempre e comunque un’alta qualità artistica. Negli anni novanta comunque la sua parabola musicale ha raggiunto lo zenit, con una serie di album prodotti con rara maestria e canzoni che ancora oggi rimangono punti fissi dei suoni ‘western’ contemporanei. La sua voce ricorda fortemente quella di Gordon Lightfoot, cantautore canadese con cui condivide una ‘gentilezza’ melodica particolare e la passione per la ballata, il suo pickin’ chitarristico è di livello e come detto nella decade finale del secolo scorso ha pubblicato una serie di dischi dal notevole impatto, a partire da quel “Buckskin Poet Society” del 1992 dove l’eredità orale di famiglia, l’amore per la natura e l’orgoglio nativo sono confluiti per completare una maturità eccellente. L’unione di temi country/folk con sonorità e strumenti della tradizione ‘indiana’ sono sempre stati una sua caratteristica, rendendo i suoi dischi fortemente godibili e anche inequivocabilmente riconoscibili. “Noble Heart” di qualche anno dopo, siamo nel 1995, è un altro passaggio importante della sua carriera, un altro disco in cui storie antiche e del recente passato si alternano con quella fierezza caposaldo naturale dell’essere nativo americano. E’ comunque l’incontro con Lloyd Maines, icona della musica texana delle radici, che ci regala un trittico di album assolutamente imprescindibili: “Buffalo Cafe”, “Buffalo Republic” e “Tappin’ The Earth’s Backbone”, tre gioiellini incisi tra la nativa Kalispell, Montana e Austin, Texas. Questi sono dischi che affrontano spesso temi storici, dalla fascinazione per le missioni esplorative di Lewis e Clark al ricordo della battaglia di Little Big Horn, con l’impegno ambientalista sempre a fare da sfondo e con la lucidità e la ‘correttezza politica’ nel raccontare tutto questo. Grande spazio nella produzione di Jack Gladstone è naturalmente concesso al mondo visionario e alle leggende native, spesso rivisitate con ironia ma sempre trattate con grande rispetto ed amore. Come detto nella decade successiva gli album sono usciti con frequenza minore rispetto al passato ma non sono mancati grandi dischi come la collaborazione con Rob Quist, altro eccellente cantore del west americano, in “Odyssey West” (2002) la commemorazione del bicentenario della spedizione di Meriwether Lewis e William Clark. Jack Gladstone merita quindi un’attenzione particolare per quel suo travalicare confini culturali e razziali proponendo una sincera e genuina visione e versione della musica western, senza zuccheri aggiunti e senza risultare agiografico. (Remo Ricaldone)