Durante la guerra civile George Armstrong Custer fu assegnato al comando della Michigan Cavalry Brigade e mostrò in combattimento coraggio, audacia e abilità tattica. Si distinse nella battaglia di Gettysburg (1-3 luglio 1863), nella battaglia di Yellow Tavern (11 maggio 1864) e nella terza battaglia di Winchester (19 settembre 1864), tuttavia, nel corso della successiva campagna contro gli indiani delle pianure, il suo contegno fu macchiato da episodi biasimevoli. Fece fucilare i disertori senza alcun processo, mancò di soccorrere un reparto attaccato dai cheyenne, negò l’assistenza medica ai propri uomini e abbandonò il suo reggimento per recarsi dalla moglie a Fort Riley. Una corte marziale lo dichiarò colpevole di cattiva condotta e lo sospese dal servizio. Sperò che Ulysses Grant annullasse il verdetto, ma non andò così, anzi, il presidente giudicò assai mite la sentenza e Custer dovette rassegnarsi a vivere la sua condanna. I problemi dell’esercito con gli indiani, però, restarono aperti.

Nell’ottobre del 1867 commissari governativi e capi tribù si incontrarono a Medicine Lodge Creek. Al centro delle discussioni c’era il possesso della terra compresa tra il South Platte e l’Arkansas. I bianchi volevano allungarci le mani, costruire una tratta ferroviaria e nuovi insediamenti. Non si sarebbero fermati senza ottenere ciò che volevano.

Al termine della difficile trattativa, Pentola Nera per i cheyenne, Uccello Saltante per i kiowa, Dieci Orsi per i comanche e Piccolo Corvo per gli arapaho, accettarono di trasferirsi in una riserva nel Territorio Indiano e di lasciare i coloni bianchi liberi di muoversi in quella regione. Chiaramente il patto non ebbe un effettivo seguito perché molte e diverse erano le tribù che non erano state rappresentate all’incontro e ancor di più erano i bellicosi giovani indiani che non accettavano alcuna convenzione, così si registrarono ancora scontri e morti. Tanti ranch furono saccheggiati e dati alle fiamme, undici diligenze attaccate, quattordici donne violentate, centocinquanta gli uomini ammazzati e più di quattrocento le donne e i bambini rapiti. Fu per tali ragioni che il generale Philip Sheridan affidò al suo pupillo George Armstrong Custer l’incarico di punire severamente gli indiani ostili. Pensava che una campagna in pieno inverno, sebbene faticosa, avrebbe potuto piegare i nativi, soprattutto per la mancanza di cibo.

Custer ebbe, dunque, la sua seconda chance e fu restituito al 7° Cavalleria prima ancora che scadesse la sua condanna. Il 24 settembre 1868, a Monroe, ricevette un telegramma, a firma di Sheridan, che lo richiamava in servizio. Ansioso di mettersi in mostra e di riscattarsi, il 27 novembre 1868 lanciò un attacco a un villaggio cheyenne, massacrando donne e bambini innocenti.

Era da giorni alla ricerca di indiani ostili. Aveva fatto marciare i suoi ottocento uomini nella neve, nel gelo, a ritmi serrati, seguendo le direttive degli scout osage, oltre il Canadian River e le Antelope Hills, nel mezzo della riserva indiana, e quando individuò le tende dei nativi, presso il fiume Washita, non aveva altro in mente che la guerra. Accecato dalla volontà di guadagnarsi gloria in battaglia, non vide la bandiera bianca che campeggiava sulle tende e dichiarava che quegli indiani erano in pace e nulla avevano a che fare coi raid verificatisi. Fece raggiungere le vicinanze dell’accampamento dopo mezzanotte e, con l’apprestarsi del giorno, ordinò alla banda del 7° Cavalleria di suonare Garryowen. Era il segnale della carica.

La cavalleria mosse i suoi quattro squadroni. Il maggiore Joel Haworth Elliott cavalcava da nord-est con le compagnie G, H e M, il capitano William Thompson da sud con le compagnie B e F, il capitano Edward Myers da sud-ovest con le compagnie E e I e Custer da ovest con le compagnie A, C, D e K. In cinquecento entrarono nel villaggio al galoppo sorprendendo gli indiani che, ignari di tutto, uscivano dalle loro tende per capire che stava accadendo. Furono inutili i tentativi di fuga di quella povera gente che aveva accettato e stava rispettando il trattato di Medicine Lodge Creek. I soldati di Custer non si fermarono neppure quando a tutti fu ben visibile la bandiera bianca sul tepee di capo Pentola Nera. In un bagno di sangue caddero falcidiati oltre cento indiani. Solo dieci di essi erano guerrieri, il resto eran donne, anziani e bambini che non erano riusciti a scappare. Pure Pentola Nera e sua moglie Medicine Woman furono uccisi. In cinquantatré furon fatti prigionieri.

Custer, nella sua stoltezza, non s’avvide, però, che il villaggio su cui s’era abbattuto era solo uno di quelli che occupavano la zona e che un accampamento ben più grande si estendeva poco oltre. Fu un drappello di uomini al seguito di Joel Elliott a capirlo. Il maggiore si era allontanato dalle sue compagnie, preso dalla foga di quella spietata caccia all’indiano, inseguendo dei fuggitivi, e si ritrovò faccia a faccia coi guerrieri degli altri popoli, richiamati dal trambusto.

Quando Custer fu raggiunto dal tenente Godfrey, rimasto a presidiare una collinetta attigua, e seppe che vicino c’era un immenso accampamento indiano da cui stavano affluendo numerosi guerrieri, ordinò di accelerare le operazioni. Voller far appiccare il fuoco all’accampamento, e, mentre si scopriva osservato dai guerrieri nativi sulle colline, usò i prigionieri come scudo e aver libera la via. In segno di sfida, fece pure uccidere con una gigantesca sparatoria gli ottocento pony degli indiani, per evitare che potessero servirsene.

Sapeva che di Elliot non c’erano tracce, si rifiutò di inviare soccorsi e fu sommerso dalle critiche degli ufficiali, ordinando egualmente quel ripiegamento. Il maggiore finì trucidato con i suoi diciannove soldati dai guerrieri di Mano Sinistra, mentre Custer l’abbandonava, seguito da lontano dai nativi che non osavano attaccarlo, immobilizzati dal timore che i soldati bianchi potessero far del male ai loro cari tenuti prigionieri.

Fu dunque per un caso fortuito se sul Washita non si realizzò in anticipo la tragica disfatta di Little Big Horn. Gli ingredienti c’eran già tutti, la vanità di “Chioma Gialla”, i suoi errori tattici, la sua testardaggine e un nemico ben più grosso di quanto immaginato. A Custer andò bene per due regioni, gli indiani erano assolutamente impreparati ad un attacco e lui così codardo da servirsi di innocenti per aver salva la vita.