Fieracavalli è sempre Fieracavalli. Forse perchè l’evento di Verona finisce per diventare una tradizione nelle nostre vite, dopo qualche decina d’anni in cui compare con la cadenza affettiva di un appuntamento che ci strappa alla nostra quotidianità di grigiume novembrino per calarci in un paese dei balocchi, dove si respira, si ascolta, si guarda, si parla di una delle cose che amiamo più al mondo. Solo che, un po’ come succede per il Natale, le luci artificiali che ci colpivano da ragazzini ora tendono a non suscitare esattamente lo stesso effetto, e dobbiamo faticare per trovare sorprese di significato sotto carte da pacco sgargianti, confezionate spesso più per colpire la fantasia che per incorniciare un valore reale. Ogni padiglione ci assorda (in senso stretto se consideriamo i volumi invadenti di questa edizione 2015) in un carosello spesso non solo dimostrativo delle proprie qualità, ma tante volte impositivo nei confronti del cavallo, obbligato a dimostrare tutto subito, e nei confronti dello spettatore che sente dileggiate le discipline “concorrenti” per far spazio alla propria Bibbia Equestre, unica ed inconfutabile… Ed allora.. La mia monta naturale è più naturale della tua. La mia Légèreté è più leggera della tua. Io posso farvi vedere una piaffe sull’asfalto umido, in mezzo ad un corridoio pieno di gente. Io invece posso perfino camminare a marcia indietro con il mio povero Andaluso per mostrarvi quanto sono bravo, anche se schivo di un millimetro un ragazzo in sedia a rotelle e rovescio un bidone illuminato … ma anche questo è shooow. O .. no? Direi di no. Forse questa è la legge della Fiera, per sua natura più vicina a quella del mercato rispetto a quella del mondo equestre, sebbene non vadano dimenticati momenti di alta equitazione ed esibizioni meravigliose sotto l’aspetto morfologico e dello spettacolo (da pelle d’oca la performance della Fanfara della Polizia di Stato ad esempio). Ad ogni modo, forse ci rifugiamo nel padiglione Western proprio per cercare qualcosa di familiare, un pezzetto di quella naturalezza che lega uomo e cavallo sulle terre d’oltreoceano che amiamo, qualche nota rilassante della musica che percorre quotidianamente la nostra vita fino a diventarne parte integrante.Troviamo numerose gare sportive… barrel racing, team penning, cutting… ci domandiamo perchè in tante esibizioni viste in America non abbiamo mai assistito a tante frustate quante in un’ora di barrel qui a Verona. Ma forse ci stiamo sbagliando. Sicuramente è un caso. In fondo si tratta di agonismo. E l’agonismo è anche questo. O… no? Direi di no.Girando gli occhi tra le varie esibizioni, ci chiediamo se esista da qualche parte un pezzettino autentico di Cultura Americana. Se, tra tutti i finti cowboys che ti travolgono senza neppure girarsi indietro, ne esista uno vero… di quelli che si tolgono il cappello davanti ad una ragazza. Ci chiediamo se la cultura della frontiera abbia incrociato la nostra anche solo per un momento, in una persona.
E poi eccoci due visi noti: Drew Mischianti e Natalia Estrada prendono il microfono per parlarci di Ranch Academy, la loro realtà mirata quotidianamente ad un addestramento ed un lavoro con il cavallo e con la mandria totalmente ispirato alla tradizione statunitense, specialmente alla scuola di Cowboys e Buckaroos. Ranch Academy proviene da lunghi percorsi attraverso la monta inglese, western e parelliana di Natalia, ed attraverso le origini di cavaliere nella Maremma Laziale di Drew, che ha poi scelto di compiere un percorso individuale difficile e duro in America. Nell’America dei Ranches dove si lavora duro. Nell’America degli immensi spazi, delle immense mandrie, dell’immenso caldo e dell’immenso freddo, dell’immensa polvere, dell’immenso lavoro. L’America dell’immensa solitudine che per giorni ti mette in contatto con ciò che sai, ma soprattutto con ciò che sei. L’America in cui vieni accolto con rispetto ma senza cerimonie e non ti viene data una mano ma un’opportunità. In anni trascorsi tra Wyoming, Oregon, Nevada, Idaho e Montana, Drew ha allontanato la società dominata dai “Mangiacuori”, come ci scrive lui stesso: creature viscide e dominanti del nostro mondo, predatori a caccia di denaro e di status, “lucidi come le loro automobili” a cui attribuiscono lo stesso valore delle loro donne, di cui conoscono “l’esatta sfumatura dei capezzoli, ma non il colore dei loro occhi”.
Non è una fuga quella di Mischanti e del suo gruppo dal mondo dei “Mangiacuori”, bensì un’alternativa pulita, fatta di lavoro, di disciplina e di rispetto.
Niente snobismi, solo la verità quotidiana di chi non “va a cavallo” ma “monta a cavallo”, come ci fa notare lo stesso Drew per distinguere i dilettanti, amatori ed appassionati come tutti noi, da chi ha costruito la sua vita, la sua sopravvivenza, la sua formazione sulla groppa di un compagno che è diventato una scelta quotidiana su cui impostare esistenza e lavoro. Natalia, con un sorriso aperto e l’onestà intellettuale di chi non fa pesare la propria esperienza ma si approccia alle persone con umiltà e classe, ci racconta la volontà di far passare un messaggio importante anche in un contesto apparentemente poco idoneo, come quello fieristico: un messaggio di dedizione, curiosità, tenacia e voglia di scoprire per imparare e per restituire ad altri ciò che proviene da grandi Maestri.
L’ attività dei Vaqueros Californiani ed i Buckaroos del Great Basin rapresentano infatti la radice di un mondo pieno di verità che esce dallo stereotipo del cowboy da fumetto per rappresentare una confluenza culturale tra la storia Nord- Americana e l’antica tradizione della Penisola Iberica che ha dato i natali proprio alla stessa Natalia.
Niente campanilismi, tuttavia: la monta di Ranch Academy esce dalla logica della competitività, della dismostrazione agonistica, della forzatura da arena, e ci racconta ciò che non è sport, bensì Arte Equestre.
Guidata da grandi Maestri, come lo straordinario Horseman Buck Brannman, Ranch Academy in fondo ci parla solo di quello che ci interessa sentire: di cavalli. Di vita con i cavalli. Di lavoro con i cavalli. Di bestiame, di cani (ricordiamo lo Stockdog Club), di fotografie suggestive che immortalano la verità (raccolte da Natalia nel libro Horsepower). La verità di una vita spesa per i cavalli. Infatti, come sottolinea lo speaker che ho applaudito con grande enfasi (da sola, ma forse questo era dovuto al fatto che la gente sugli spalti fosse impegnata a fissare l’impennata di turno) non esistono tanti orpelli: esiste solo buona o cattiva equitazione. Poi starà a noi decidere cosa farne: si potrà lavorare con i vitelli o preparare una ripresa di dressage. Poco importa. Entrambe le cose saranno parte di un percorso fatto di dignità e di insegnamento, non di competizione ed apparenza.
Nell’attesa di poter parlare più diffusamente di questo “Branco di Lupi”, come la Scuola di Ranch Academy ama affettuosamente definirsi, lascio la Fiera con il ricordo delle parole di Drew Mischianti che da ragazzina scrivevo sulla prima pagina del mio diario scolastico ogni anno, come fosse un piccolo rituale:
“Comunque io e voi, per sempre, in silenzio,
guardiamo quel fiato che si fa nuvola nel freddo del mattino,
ed esce dal morbido naso di velluto di un essere antico
e ricco di tutto quello che noi non avremo mai.
La tenerezza di un’anima selvaggia.”
(Sara Albanese)