Voce del country meno stereotipato di Bakersfield, con alle spalle più di trenta milioni di dischi venduti, dodici album d’oro e nove album di platino, Dwight Yoakam coi suoi sessantacinque anni ha avuto una lunga e acclamata carriera anche come attore, con una nomination per lo Screen Actors Guild Award con “Lama tagliente” nel 1996 ed ottime prove in “Panic Room” del 2002, “2 single a nozze” del 2005 e “Crank” e “Bandidas” del 2006. È anche apparso in “The Last Rites of Ransom Pride”, un western indipendente del 2010 col cantante Kris Kristofferson, e nel bellissimo neo-western “Le tre sepolture” di Melquiades Estrada, nei panni dello sceriffo Belmont. Nel 2017 era stato Warder Burns in “La truffa dei Logan”, il direttore del penitenziario della contea di Monroe, dove sono imprigionati Joe e Clyde, e da allora era scomparso dagli schermi, anche da quelli televisivi dove pure aveva riscontrato successo con serie come “Under the Dome” e “Golia”. Ce lo riconsegna Clint Eastwood nel suo trentanovesimo film alla regia, “Cry Macho – Ritorno a casa”. Eastwood, grande amante di musica country e suo ammiratore, gli affida i panni di Howard Polk, un impresario di rodeo, ricco, pusillanime e calcolatore, proprietario di ranch e padre di Rafael, l’adolescente che Mike Milo (ovvero Eastwood) va a salvare dalle strade di Città del Messico. La trama della pellicola è lineare. Un campione di bucking horse, ora in pensione, Mike Milo (Eastwood), fa un ultimo favore ad Howard Polk, il suo capo, ed intraprende un viaggio in Messico per riportargli Rafael (Eduardo Minett), il figlio, tredici anni prima abbandonato alla madre inetta Leta (Fernanda Urrejola). Tuttavia niente è come sembra e, sotto la corteccia, c’è un percorso di maturazione, per niente banale, che porta la vecchia gloria dei rodei a scoprire qualcosa di nuovo dentro di sé ed a scegliere di viverlo in Messico con la vedova Marta (Natalia Traven). Con lo sguardo sufficiente, l’aria dondolante, le mani in tasca, il bolo e il cappello, Dwight Yoakam ben si presta al ruolo assegnatogli in una pellicola che sfronda la frontiera da ogni mito e la interiorizza, la umanizza sino a scalfire l’immaginario eastwoodiano. ( Angelo D’Ambra)