Considerato il primo, o uno dei primissimi esempi di concept album della storia della musica, Dust Bowl Ballads, è a tutti gli effetti, riconosciuto ad oggi unanimemente, come il lavoro più memorabile di Woody Guthrie. Il grande musicista, cantautore, scrittore, e folklorista statunitense (ricordato come tra i folk singer più importanti della storia della musica americana), attraverso canzoni semi-autobiografiche scritte durante il periodo delle forti tempeste di sabbia che colpì il profondo contadino del Texas, chiamato appunto “Dust Bowl”, partorisce un album pregno di canzoni destinate a rimanere scolpite per sempre nelle menti di grandissimi musicisti, come Bob Dylan, Bruce Springsteen, Phil Ochs e Joan Baez, influenzandoli notevolmente. Durante il drammatico periodo del “Dust Bowl”, Guthrie, canzone dopo canzone – “Talking Dust Bowl Blues”, “I Ain’t Got No Home”, “Dust Bowl Refugee” – mise in evidenza, con carisma e notevole spessore caratteriale, tematiche nobili ed importanti, quali: l’attivismo sociale e politico, la povertà, l’emarginazione e i disastri ambientali: cantante di protesta e nobile contestatore, riuscì ad emergere agli occhi di molti intellettuali, come ad un artista genuino e puro, dell’arte popolare. Testi, che per l’epoca, costituirono una novità assoluta, poiché denunziavano senza mezzi termini la società, spesso, puntando il dito contro i padroni e gli sfruttatori. Possiamo quindi, affermare, con assoluta certezza, che l’autore di This Land Is Your Land (questa terra è la tua terra), si fece portavoce autentico, nonché poeta straordinario di quel periodo così duro, che va dal 1931 al 1939: la cosiddétta conca di polvere, che nella cultura di massa, ispirò la sensibilità di altri grandi artisti e pensatori dell’epoca, come John Steinbeck, col suo romanzo capolavoro e Bestseller negli anni ‘39 e ‘40 del ‘900, dal titolo Furore (The Grapes of Wrath). Sono queste le Dust Bowl Ballads (1935), registrate per la prima volta nell’aprile del 1940 su invito del musicologo Lomax: ballate che toccano da vicino la vita dei poveri, penetrando dentro agli animi dei diseredati e dei disoccupati; un musicista straordinario, che attraverso canzoni scarne (si accompagnava soltanto con la chitarra e l’armonica), ma estremamente efficaci, riuscì a diventare negli anni ‘50, un’icona e un faro illuminante, per i cantanti folk, del Greenwich Village. (Fabio Strinati)