Tralasciando tutta la prima parte della storia delle Dixie Chicks tra il 1989 e la metà della decade successiva con tre dischi piacevoli tra standard country e bluegrass, piacevoli ma tutto sommato abbastanza ‘innocui’ e ora di rarissima reperibilità, l’entrata in scena di Natalie Maines figlia del leggendario musicista/producer texano Lloyd è coincisa con un percorso di grande vitalità, ispirazione e successo commerciale che in pochi anni ha proiettato il trio (con le sorelle Emily e Martie Erwin a ‘supportare’ la leader) verso una piena affermazione nelle country charts e non solo. In effetti le Dixie Chicks non si sono mai sentite di appartenere all’establishment country nella sua accezione più classica e non hanno mai dato voce ad un pubblico i cui riferimenti culturali e politici sono quelli di una certa destra religiosa e reazionaria, preferendo piuttosto quello più vicino a rock e anche folk dai valori più progressisti e condivisivi. La notevole e vibrante bravura strumentale, l’approccio fresco e cristallino ne hanno comunque decretato il successo  a partire da “Wide Open Spaces”, album e canzone di Susan Gibson, primo vero hit nel 1998. Già dal seguente “Fly” del 1999 Natalie, Emily e Martie hanno portato le liriche delle loro canzoni in un ambito più profondo e talvolta non proprio ‘politically correct’ affrontando temi come violenza domestica, femminismo e rapporti interpersonali in modo originale e decisamente distante dai luoghi comuni della maggior parte dei musicisti country. Brani come “Goodbye Earl” soprattutto ma anche “Don’t Waste Your Heart” e “If I Fall You’re Going Down With Me” hanno saputo unire la godibile piacevolezza delle parti strumentali a testi spesso intrisi di amarezza, violenza e disillusione in un insieme che forse ha più attratto il pubblico del rock piuttosto che quello legato ai suoni più tradizionalmente country. La scelta di avvicinarsi ai suoni acustici e ad un repertorio più cantautorale, l’affidarsi a gente come Darrell Scott, Bruce Robison e Radney Foster e soprattutto dare voce ad un certo pacifismo come in ‘Travelin’ Soldier’ e alla critica verso i rednecks del Sud in “White Trash Wedding” ha cominciato ad attirare critiche e perplessità da una certa parte dei country fans ma è stato un anno dopo, nel 2003, che le Chicks hanno portato questa loro ‘insofferenza’ verso la politica americana a livelli mai raggiunti. Marzo 2003, Londra, primo concerto del loro Top of the World Tour allo Shepherds Bush Empire: presentando la già citata “Travelin’ Soldier” Natalie Maines si lancia in una forte critica alla recente invasione americana dell’Iraq concludendo con un “ci vergogniamo che Bush provenga dallo Stato del Texas”, frase che subito provoca un clamoroso riscontro in patria con la richiesta da parte di molti di boicottare la loro musica e la pronta ‘risposta’ di alcuni tra i più conservatori artisti del mondo della country music. Una polemica questa che è costata molto in fatto di popolarità presso gli ambienti country ma al tempo stesso ha portato le ragazze ad affiancarsi alle posizioni contro la guerra della maggior parte degli acts rock e folk. Il forte impegno sociale e umanitario con relative cospicue donazioni ad enti ed associazioni impegnate in questo campo ha contraddistinto l’attività delle Dixie Chicks negli anni a seguire fino al 2006 quando Natalie Maines e compagne hanno firmato quello che probabilmente è stato il loro disco più profondo ed ispirato: “”Taking The Long Way”. Nelle quattordici canzoni prodotte magistralmente da Rick Rubin, accanto ad una splendida vena melodica accentuata dalla collaborazione con gente come Gary Louris dei Jayhawks, Neil Finn dei Crowded House, Sheryl Crow, Pete Yorn, Keb Mo’ e Mike Campbell, c’è la ricerca di affrontare temi ‘scomodi’ come in “Not Ready To Make Nice” il cui messaggio femminista ha in qualche modo anticipato il movimento ‘Me Too’. “Voice Inside My Head”, “So Hard”, “Easy Silence” sono melodie di struggente bellezza che mostrano quanto maturo e profondo sia diventato il songwriting delle ragazze con una Natalie Maines sempre più carismatica e sicura delle proprie qualità. Un percorso questo che con pause e dubbi, cali di ispirazione e progetti più o meno riusciti è arrivato ai nostri giorni promettendo un ritorno sulle scene delle Dixie Chicks che si prospetta intrigante e stuzzicante. (Remo Ricaldone)