David Massey anche se ha cominciato tardi la sua carriera di musicista e da pochissimi anni ha lasciato il suo ‘day job’ come membro di uno studio di avvocati per dedicarsi a tempo pieno alla musica è un veterano della scena artistica di Washington, DC e ha all’attivo cinque dischi. Lui è uno che incide quantitativamente poco e lo fa solo quando ha del materiale ritenuto valido, senza pressioni di sorta, in un percorso indipendente di buonissima qualità tra country music, folk, rock e radici nella declinazione più ampia. “Island Creek” è poco più di un ep, sei canzoni che seguono di tre anni il precedente album, ma ogni momento è interpretato con estrema credibilità e sensibilità pur non aggiungendo nulla alle qualità che gli vengono riconosciute da chi lo segue. I temi sono quelli universalmente considerati ‘primari’ come amore, religione, ambiente, la fragilità e la mortalità dell’essere umano e i suoni spaziano in un contesto piacevole e delicato non spingendosi mai oltre una misura ormai consolidata dai suoi trascorsi artistici. La title-track “Island Creek” apre il disco ed è subito una melodia che ammalia, con il delizioso lavoro di pianoforte da parte di Bill Starks ed il cello di Kristen Jones ad accrescere il pathos mentre la seguente “Demon Wind” cambia registro avvicinandosi, grazie alle chitarre di Jay Byrd, alle atmosfere dei primi Dire Straits snocciolando emozioni e nostalgie. “Long Long Time” rimane fedele a questi stilemi con la bella chitarra elettrica di Jay Byrd a disegnare armonie simili a quelle di (e con tutto il rispetto per l’originale) Mark Knopfler e ad un ritmo coinvolgente tra country e rock, “Don’t Know Where I’d Be” si immerge ulteriormente nelle inflessioni acustiche vicine alla country music, quella con i maggiori legami con la canzone d’autore, “Curtain Drawn” vede il dobro di Fred Travers ergersi a protagonista in un’altra bella prova di talento con fascinazioni che ricordano (soprattutto nell’approccio vocale) Bob Dylan. A chiudere l’album c’è la vivace “Fight Finished” dove ci sono reminiscenze sixties a dimostrazione di una buona dose di eclettismo da parte di un nome da tenere d’occhio. (Remo Ricaldone)