Dan Israel ha già inciso qualcosa come quattordici dischi ma solo ora ha deciso di dedicarsi esclusivamente alla musica. Per più di un ventennio ha portato avanti la sua passione artistica nei clubs delle cosiddette Twin Cities (Minneapolis e Saint Paul, Minnesota) come ‘secondo lavoro’ in subordine alla sua attività di impiegato pubblico. Spesso si è esibito in versione acustica ma il suo amore è per il rock, quello classico, tra Tom Petty e le fascinazioni letterarie di Bob Dylan e questo “You’re Free” finalmente ce lo presenta nella sua immagine più autentica e genuina con belle chitarre e una corposa sezione ritmica. L’album è prodotto con l’aiuto di Rich Mattson e David J. Russ, da lungo tempo collaboratori di Dan Israel e inevitabilmente sulla sua stessa lunghezza d’onda ed è un lavoro in qualche maniera catartico, atto ad affrontare le ‘crisi di mezza età’ che nel suo caso sono acuite da problematiche psicologiche come la depressione che lo hanno accompagnato nel corso degli anni. Il risultato è decisamente positivo e questa ‘nuova’ dimensione giova parecchio alla qualità delle canzoni (tutte originali), passando da ariose ballate elettro-acustiche a momenti più grintosi e rock, il tutto interpretato con grande intensità e coinvolgimento. “Gets You Through It” ha Tom Petty nel cuore in un brano che apre nella maniera migliore il disco con una melodia pregevole, “You’re Free”, la title-track è ancora godibilissima e profuma di ‘sixties’ con chitarre elettriche scintillanti e movenze roots-rock mentre “Back To You” prosegue la selezione proponendo ancora melodie cristalline, con in primo piano l’organo di Peter J. Sands e il violino di Jillian Rae che fa capolino. “Long Gone Dream” è invece più grintosa ed ipnotica, una delle più rock dell’album, con le chitarre che si intrecciano e si sovrappongono, “Make This Life Mine” ammorbidisce ancora i toni anche se in maniera meno incisiva dei precedenti, “Feeling Better”  e “Someday You’ll Say” riportano al centro l’amore per Tom Petty in due momenti che elevano ulteriormente la selezione con il loro rock targato ‘sixties’. La parte finale del disco comprende “If I Didn’t Have You” che rimanda invece al Ray Davies con i Kinks, anche per come affronta vocalmente la canzone, “Stay On The Run” acustica e dalla fresca melodia, “Soul Will Be Found” con i suoi ritmi più rock e la conclusiva “Porch Storm” caratterizzata da una slide acustica che rimanda al delta blues in uno strumentale che congeda Dan Israel in un lavoro più che azzeccato. (Remo Ricaldone)