Trentenne da Morgantown, West Virginia, Charles Wesley Godwin arriva al terzo album maturando un bagaglio musicale solido ed ispirato alle storie di famiglia e dei luoghi cari in un godibilissimo mix di country, folk e americana. “Family Ties” è infatti un lavoro per certi versi ambizioso per lunghezza (poco oltre i 70 minuti) ma perfettamente riuscito per qualità del materiale proposto, per una voce personale ed accattivante e per buone doti chitarristiche. Ne viene fuori un racconto decisamente interessante che si apre e si chiude in maniera significativa con la title-track ad iniziare, dopo una brevissima introduzione strumentale, la selezione con un pregevole country-folk segnato dall’accoppiata fiddle & banjo e la riuscita cover del classico di John Denver “Thank God I’m A Country Boy” (un sentito omaggio alla sua terra natale) a congedare l’ascoltatore dopo un percorso improntato nella prima parte su melodie suadenti e suggestive per poi arricchirsi di momenti in cui emerge più grinta avvicinandosi talvolta a stilemi più ‘rockeggianti’ come per la spigliata “Two Weeks Gone”. La produzione e l’apporto strumentale di Al Torrence fa si che l’album scorra con estrema naturalezza ed efficacia attraverso canzoni che già dai titoli esprimono il talento compositivo di Charles Wesley Godwin, capace di sintetizzare tutto l’amore per le bellezze naturali e per i forti legami affettivi, non dimenticando la durezza della vita di tutti i giorni. “Miner Imperfections” cristallina melodia tra le migliori del lotto, “Cue Country Roads”, “The Flood” suggestiva e drammatica, i struggenti ricordi nelle pieghe della ottima “Gabriel”, la splendida “10-38”, “West Of Lonesome” nella quale si può toccare con mano tutto il pathos interpretativo di Charles Wesley Godwin, il gustoso country waltz di “That Time Again” e “Another Leaf” con le sue fascinazioni folk sono quadretti dalla grande nitidezza narrativa che rendono il disco uno tra i più brillanti di questa annata discografica. (Remo Ricaldone)