Raggiunta (e superata) la soglia dei settantanni Bruce Springsteen prosegue quella che ormai da qualche tempo è una sorta di sguardo al passato, ai suoi e nostri ‘glory days’ e ai fantasmi che hanno affollato la vita personale ed artistica di uno dei personaggi più amati della musica rock in tutte le sue declinazioni e radici. Quasi nessuno come lui ha saputo creare legami così forti con il proprio pubblico e con i musicisti che lo hanno accompagnato nel corso degli ormai molti decenni di un percorso  sempre contraddistinto da onestà intellettuale, sincerità e straordinario trasporto. L’autobiografia di “Born To Run”, la rilettura dei classici del suo repertorio nel corso delle sue lunghe serate acustiche a Broadway, una vera confessione ed intima dichiarazione, “Western Stars”, sogno avverato di riproporre suoni dal profondo significato stilistico e ‘cinematografico’ ricche di introspezione, sono tutti momenti in cui Bruce ha cercato di esorcizzare paure, fissare le emozioni e ricordare con profonda e struggente nostalgia e poesia i momenti più importanti della sua vita. Ora ci arrivano queste dodici ‘lettere’ da parte di un vecchio amico che ha idealmente ripreso le fila di un sound volutamente ‘vintage’, richiamando a se i vecchi pards della E Street Band in un’ora di musica ad alto livello e incisività espressiva. “Letter To You” è la nitida fotografia (a partire dagli splendidi scatti della confezione) di un vecchio rocker le cui rughe e cicatrici sono ancora più visibili ma per questo ancora più vere, le musiche appassionanti e ricche di riferimenti del passato più glorioso (le tastiere di Roy Bittan in particolare e poi il ‘tiro’ di Max Winberg e i pochi ma commoventi interventi al sax di Jake Clemons in ricordo dello zio Clarence) e testi più volte capaci di strappare una lacrima. Bella l’idea di riprendere, in un azzeccato gioco di rimandi tra passato e presente, tre vecchie canzoni, rispolverandole e dando loro un senso compiuto all’interno del ‘discorso’: “Janey Needs A Shooter” (chi si ricorda la magnifica versione di Warren Zevon?), “If I Was The Priest” e “Song For Orphans” con il suo carico ‘dylaniano’ sono tre capolavori a cui Bruce ha finalmente reso giustizia. La cosa comunque importante è la qualità delle nuove canzoni, da “One Minute You’re Here” che apre l’album e che con la sua delicatezza e commozione funge un po’ da ‘trait d’union’ con il disco precedente ai due potenti singoli “Letter To You” e “Ghosts” fino a “Last Man Standing”, “Rainmaker” e comunque un po’ a tutte le altre che ci riconsegnano  un musicista ancora capace di regalare emozione e senso di appartenenza. Tra le cose belle da ricordare in un anno per altri versi nefasto. (Remo Ricaldone)