‘Americanoir’ è il bel neologismo coniato per descrivere la musica di Ben De La Cour, nato a Londra ma ben presto trasferitosi negli States dove ha viaggiato in lungo ed in largo accumulando vorticosamente esperienze di ogni tipo, da barista a buttafuori, da fattore a pugile (nella sua breve residenza a Cuba) e incrociando ogni tipo di umanità, spesso ai margini della società, sofferente ma piena di solidarietà ed empatia. Ben De La Cour ha vissuto in prima persona tutto questo e le sue storie grondano emozioni spesso dai colori forti, oscure e misteriose, energiche, dal taglio folk ma frequentemente intrise di country e di rock. Il quinto album della carriera cantautorale del musicista ora residente a Nashville è questo “Anhedonia” che tratteggia con estremo fascino e passione un’America di provincia dove si lotta per la sopravvivenza e dove la crudezza del paesaggio fa il paio con personaggi dal cuore grande ma dal destino segnato dal degrado e dalla povertà. L’introduttiva “Appalachian Book Of The Dead” è il manifesto nitido e drammatico di tutto questo, un brano dal grande fascino che definisce bene la poetica di Ben De La Cour, spesso affiancato da voci femminili che donano fascinazioni piene di romanticismo e grazia come in questa occasione Luella. La seguente “Numbers Game” è un altro momento eccellente, uno dei migliori dal punto di vista della melodia ( e con la magnifica voce di Becky Warren) scritta a quattro mani con la cantautrice canadese Lynne Hanson e la lunga e riflessiva “Maricopa County” segna un ulteriore punto a favore nella riuscita del disco. Disco che si sviluppa in maniera sincera e ispirata grazie ad uno stato di forma espressiva del protagonista veramente notevole, con la robusta ballata elettrica “Shine On The Highway” a cui partecipa Elizabeth Cook come seconda voce ed un incedere che rimanda al miglior Leonard Cohen, la title-track “Sweet Anhedonia” con un’altra bella presenza femminile, la promettente country singer Emily Scott Robinson, “Suicide Of Town”, un roots-rock con chitarre elettriche che splendono e un contagioso ‘riff’ che sarebbe piaciuto a Tom Petty e la pianistica e nostalgica “Palookaville” (con la tromba di Josh Klein che letteralmente strappa il cuore) che mantengono la barra dritta in questo percorso dove ad ogni angolo c’è poesia. Il trittico finale (a cui è aggiunta come bonus track solo digitale “Birdcage”) vede “Brother”, la bellissima “American Mind”, altro ‘highlight’ dell’album, e “I’ve Got Everything I Ever Wanted” ribadire con forza quanto Ben De La Cour rappresenti oggi una delle più autentiche voci del cantautorato roots d’America. Caldamente consigliato. (Remo Ricaldone)