La prima volta in cui papà Owens e il piccolo Buck provarono ad entrare in California furono respinti dalla polizia. Non avevano quello che Woody Guthrie chiamò il “do-re-mi” e Buck dovette rimandare tutto al 1951. Non avrebbe mai pensato che il suo nome sarebbe stato un giorno fuso indissolubilmente con la scena country di quella terra che già palpitava di grandi fermenti musicali.

La commistione di jazz, boogie e swing con musica hillbilly e sonorità cowboy, infatti, premiò Bob Wills in modo particolare sulla costa californiana e nel South West. Wills si inserì perfettamente a Bakersfield, divenendo di casa in locali come la Beardsley Ballroom. Era immensamente popolare tra i rifugiati della Dust Bowl che si erano riversati in California dal Texas, dall’Arkansas e dall’Oklahoma. La sua lunga permanenza a Tulsa e poi la vita nel Golden State lo resero agli occhi degli okies uno di loro, rappresentava il passato che si erano lasciati alle spalle e un promettente simbolo di successo e mobilità. Tra i tanti che accorsero ai suoi show ci fu Merle Haggard, che spesso citò Wills tra le sue influenze e che, nel 1970, pubblicò “A Tribute to the Best Damn Fiddle Player in the World (Or, My Salute to Bob Wills)”.

Il western swing assieme all’honky tonk esercitò un forte ascendente su quella generazione di nuovi musicisti che poi emerse dando vita al Bakersfield Sound. In città la prima avvincente storia di successo di musicisti okies fu quella dei fratelli Maddox. Erano giunti ancora bambini dall’Alabama coi loro genitori in cerca di lavoro. Divennero raccoglitori di frutta e verdura, stagionali che viaggiavano da contea a contea, dormendo e mangiando per terra (vicenda richiamata nella loro “Okie Boogie” del 1948). I ragazzi però suonavano e così, nel 1939, parteciparono ad un contest di band hillbilly a Sacramento e finirono per diventare il più grande complesso del momento, i Maddox Brothers and Rose. Il loro trascinante ritmo honky tonk, le armonie calde e l’estetica country furono l’elemento vincente di una proposta musicale che non si discostava tanto da quella di Wills ma traduceva la ballabilità del western swing con la strumentazione elettrica. Grazie al loro prestigio imbracciarono la chitarra un po’ tutti i progenitori del Bakersfield Sound da Tommy Collins a Ferlin Husky, da Wynn Stewart a Red Simpson.

Ad aprire la strada della popolarità fu “A Dear John Letter”, nel 1953, di Ferlin Husky e Jean Shepard. Fu un inatteso trionfo di popolarità, di consensi, di classifiche. In quegli anni conobbe un boom di vendite l’azienda di chitarre, la Mosrite, e fioccarono le aperture di nuovi locali come il Blackboard e il Clover Club. Arrivò poi Tommy Collins con un honky tonk arricchito di controtempi e chitarre elettriche, come “You’d Better Not Do That”, e fu ancora un tripudio di applausi. Buck Owens suonò spesso per questi artisti, ma quando esplose il fenomeno Bakersfield, il grosso di essi aveva già abbandonato la scena, o faceva i conti con problemi di depressione e alcol, per incassarne riscontri e notorietà. Bakersfield aveva un suono frizzante e brillante, centrato su pedal steel e chitarre elettriche che già Bob Wills aveva utilizzato negli Anni Trenta, ma sino ad allora erano rimaste un rumoroso tabu. Owens, invece, elesse la Fender Telecaster ringhiante a strumento principe del country, prima che lo facesse il rock.

Che non avrebbe trovato solo consensi lo capì subito. Di quegli anni, infatti, è “Dim Lights, Thick Smoke, and Loud Loud Music” di Joe Maphis e sua moglie Rose Lee, artisti già noti nel circuito country. Questa canzone diceva: “Luci soffuse, fumo denso e musica ad alto volume… è l’unico tipo di vita che capirai mai… Non diventerai mai una moglie, per un uomo che ama la casa… l’unica casa che conosci è quel locale in fondo alla strada. Otto bambini piccoli non significano nulla per te… Preferiresti bere qualcosa con il primo ragazzo che incontri… Bere e ballare al ritmo di una band honky tonk…”. I due raccontarono d’aver scritto questo testo dopo essersi esibiti al Blackboard ed essere rimasti scioccati dalla performance di un giovane Buck Owens e dal comportamento dei suoi fan. Quella sera si sentirono spaesati, non capirono neppure che il ballare del pubblico era una risposta positiva alla loro musica. Il testo che scrissero era una critica pesante alla cultura honky tonk che si rigenerava a Bakersfield (chissà cosa avrebbero pensato della versione che ne ha poi realizzato Dwight Yoakam).

L’esplosione del fenomeno però era dietro l’angolo. Owens lo capì e colse l’attimo. Fu lui la mente dietro tutto, lui il vero ideatore della contro-strategia all’approccio di Nashville, lui che riuscì a mantenere il country del dopoguerra ruvido e grintoso, preservando lo spirito swing e honky tonk in un momento in cui l’industria mainstream si stava muovendo verso un suono pop. Al suo nome va affiancato sicuramente quello di Haggard, ma i due seguirono percorsi diversi. Sebbene entrambi fossero il prodotto della Dust Bowl e della conseguente sottocultura okie, Buck Owens amò sempre apparire spensierato, illuminato dal successo, ironico, brillante, invece Haggard si votò a testi melanconici di povertà e storie d’amore finite male, con uno stile cantautorale molto intimo. Ciò che va inoltre aggiunto è che Owens fu soprattutto un lungimirante businessman con la sua casa editrice, la Blue Book Records, e la Capitol Records di Los Angeles.

In Tennessee si studiarono abili strategie di marketing nello sforzo di sfruttare le potenzialità commerciali del country come mercato. Si presero quindi le distanze dalle radici honky tonk e dall’ethos del passato, quello del mondo del lavoro, nel tentativo, sicuramente riuscito, di espandere la popolarità dei cantanti country tra il pubblico pop. Owens non fu da meno, per lui il Bakersfield Sound non fu mai una sterile testimonianza di purezza. Il country californiano anzi intese tenersi saldo nella tradizione ma al contempo innovandola e Owens fu sempre assolutamente critico verso approcci al genere guidati dalla ricerca di una immobile autenticità, li riteneva dannosi sia per la musica sia per il business.

Bakersfield cantò per più di vent’anni, ottenne i suoi riconoscimenti, i suoi sold out, i suoi premi, i suoi primi posti in classifica, poi, nel 1974, Haggard lasciò la città, Owens iniziò ad uscire dalle Top Ten e il suo grande amico Don Rich morì in un incidente stradale. Si dovette attendere Dwight Yoakam perché tutto rinascesse sugli stivali di una pista da ballo di una birreria di Bakersfield. ( Angelo D’Ambra)