Progetto tanto ambizioso quanto affascinante quello di Aaron Smith, cantautore di Harrison, Arkansas che con questo suo disco ci racconta la storia del predicatore di montagna Sam Davis e delle sue vicissitudini alla ricerca della sorella in un percorso che si snoda attraverso le Ozark Mountains, terre ricche di tradizione e di splendidi scenari. Sin dalla lussuosa confezione, un libro di ben 92 pagine con grande ricchezza di foto, disegni, mappe e note, ci troviamo di fronte ad un lavoro appassionato, frutto di una ricerca sul campo di notevole spessore e del grande amore per l’America tramandata dalla Band di Robbie Robertson, quella dai toni seppiati e dai vecchi dagherrotipi ricchi di poesia e di attrattiva. La leggenda di Sam Davis e, come recita il sottotitolo, delle altre storie della Contea di Newton, Arkansas è interpretata con sagacia tra fascinazioni folk e la country music più tradizionale anche se non mancano inserti elettrici come nella ottima “Jack Evans” con chitarre che mostrano tutta la loro intensità. “Henry Martian” e “Curly And Tom” sono altri due esempi del songwriting di Aaron Smith, debitore certo dei grandi folksinger e country men del passato ma brillante e fresco per ricerca della pura melodia e per performance veramente intense. Un concept album questo che si snoda tra acustico ed elettrico con Aaron Smith che si districa in maniera eccellente a chitarre, banjo, mandolino, dobro, tastiere e addirittura al corno francese, coadiuvato da George Holcomb al basso e al clarinetto e dalle percussioni di Ryan Gentry. Qui c’è tutto l’incanto e le suggestioni ‘old fashioned’ di luoghi e personaggi che si tramandano attraverso i racconti, le leggende e le storie profondamente radicate nella provincia americana più remota e meno conosciuta ai più. Luoghi e personaggi duri in cui convivono amore e sofferenza, gioie e dolore, nostalgie e rabbia, piccole comunità isolate in cui le contraddizioni vengono rimarcate da queste canzoni sull’onda di una poetica accattivante e convincente. “Granny Brisco” con il banjo suonato nel tradizionale stile ‘frailing’, il  rimpianto e la malinconia che emergono forti dalla bellissima “Dead Man’s Hollow”, gli arpeggi acustici di “The Snow Child” che accarezzano, la frizzante “Looky There” con lo spirito degli Old Crow Medicine Show e belli inserimenti di fiddle e banjo, l’intensa “Bent Twigs And Hoof Prints” e la pianistica e conclusiva “A Thousand Years”  sono alcuni dei momenti topici dell’album che comunque deve essere ascoltato nella sua interezza seguendo la traccia proposta da Aaron Smith. Un disco altamente consigliato che con gli ascolti svela tutta la sua bellezza. (Remo Ricaldone)