Un progetto nato quasi per caso e diventato la ‘nuova sensazione’ dell’ambiente country in questo 2019: The Highwomen, ispirato direttamente dal supergruppo che negli anni ottanta unì quattro icone della country music come Johnny Cash, Willie Nelson, Kris Kristofferson e Waylon Jennings in un viaggio musicale durato quasi una decade in cui si ridefinì in qualche modo uno stile in quel periodo non in grande forma. E oggi, in un momento in cui il panorama country legato alle major vive un periodo di reflusso e di scarsa ispirazione (a mio parere), le Highwomen cercano di rivitalizzarlo prendendo spunto da una visione autentica e genuina. L’idea parte dalla brava fiddler e cantante Amanda Shires (moglie e partner artistica di Jason Isbell in questi ultimi anni) che subito coinvolge Brandi Carlile, cantante ed autrice che ha sempre mostrato quanto efficace potesse essere l’incontro tra country music, canzone d’autore e pop se maneggiato con intelligenza e sagacia, ora vera anima della band. Accanto a loro ci sono Maren Morris, promettente country singer già autrice di una manciata di dischi rimarchevoli e Natalie Hemby, nome che i più attenti avranno incontrato come firma di brani di gente come Lee Ann Womack, Miranda Lambert, Eli Young Band, Little Big Town e Sunny Sweeney tra gli altri, a completamento di un affiatata band che ha debuttato nella primavera del 2019 diventando subito uno degli acts più richiesti in ambito country. Naturale che a questa serie di apprezzamenti e di attestati di stima seguisse un disco e quello omonimo è il migliore veicolo per le Highwomen per trasmettere la loro voglia di proporre suoni legati alla tradizione ma con un’impronta contemporanea capace di risultare credibile e godibile. La produzione nelle mani di quello che è attualmente uno dei produttori migliori negli States come Dave Cobb è scelta logica e vincente e la scelta del repertorio, i suoni, le armonie vocali, lo spirito che aleggia in tutte le canzoni contenute nel disco, tutto concorre nel rendere questo “The Highwomen” tra le cose migliori uscite quest’anno da Nashville, dando speranza in una nuova e proficua stagione musicale. La title-track, inevitabilmente, è il ‘trait d’union’ tra le due storie, in una cover appassionata e interpretata con grande freschezza e tutta la melodia di Jimmy Webb che emerge nella sua pienezza, “Redesigning Women”, primo singolo, è un’altra classica country song che ben rappresenta lo spirito della band. L’alternanza delle voci rende il tutto variegato e pregevole, spesso i testi non hanno timore di risultare ‘indigesti’ ad una parte del pubblico (quello più ‘tradizionalista’) country come ad esempio il bel country waltz “If She Ever Leaves Me”, interpretato da Brandi Carlile e descritto come ‘il primo brano country a tematica gay’, mentre “Old Soul” è ballata di grande fascino, “Cocktail And A Song” vede piano e fiddle duettare in un’accorata country song, “The Only Child” cantata da Natalie Hemby è la dedica alle madri che ogni giorno lottano per (soprav)vivere in una società maschilista, “Heaven Is A Honky Tonk” e “My Name Can’t Be Mama” sono le più vicine  al miglior retaggio tradizionale, “Loose Change” è cristallina e  piacevolmente acustica. Tutte sarebbero in qualche modo da citare per il coinvolgimento compositivo di ottimi autori come Lori McKenna, Miranda Lambert, Ray LaMontagne e Jason Isbell e per l’entusiasmo profuso in ogni nota. Disco caldamente consigliato che può essere stimolo e viatico per il futuro della country music .(Remo Ricaldone)