E’ un disco particolare e per certi versi sorprendente questo di Scott Mulvahill, tra i musicisti di cui si è parlato molto nell’ultimo anno a Nashville. Texano di Houston, contrabbassista per più di cinque anni alla corte di Ricky Skaggs nei suoi Kentucky Thunder, cantante ed autore profondamente influenzato dal jazz di Jaco Pastorius, dal pop di Paul Simon e dal folk del primo James Taylor, Scott Mulvahill ha saputo condensare suoni molto diversi in un unico abbraccio sonoro con il basso acustico sempre in primo piano, armonie vocali curatissime e una finezza difficile da trovare in giro. “Himalayas” è il suo debutto solista e il concentrato di tutta la sua grande versatilità, prodotto dallo stesso Mulvahill con la collaborazione di Charlie Peacock, Gary Paczosa e Shani Ghandi, nomi legati a gente come Alison Krauss, Sarah Jarosz, Lone Bellows e The Civil Wars ai quali le sonorità qui contenute sono in qualche modo imparentate. Gli arrangiamenti qui sono quasi interamente acustici, le melodie raffinate e dolci, le atmosfere vicine di volta in volta a soul, gospel, folk, jazz, pop. Insomma un mix intrigante e vincente. “Begin Againers” apre nel migliore dei modi il disco con Scott Mulvahill solo a contrabbasso e voci in un brano affascinante per profondità e afflati soul/gospel, l’armonica di Pat Bergeson caratterizza la seguente “Top Of The Stairs” che vede la presenza di nomi noti degli studi nashvilliani come Jason Mowery al dobro e  Mike Hicks alla tastiere mentre “Fighting For The Wrong Side” completa un trittico di grande qualità che introduce l’album in maniera come ripeto sorprendente. La grandissima tecnica strumentale al contrabbasso che qui diventa solista come raramente accade altrove, è sempre in primo piano anche quando la ballata si fa più pop e la voce di Mr. Mulvahill, pur non straordinariamente originale, risulta coinvolgente e calda al punto giusto. Il forte legame di amicizia con Ricky Skaggs fa si che il mandolinista del Kentucky faccia capolino, con il fiddler Andy Leftwich, in “20/20 Vision”, tra i brani più intensi e legati alla tradizione. Jerry Douglas invece appare in “1000 Feet”, prestando la sua sensibilità e la sua tecnica pazzesca al servizio di una canzone suadente e delicata. Da ricordare ancora la pura poesia di “Sweet Symsonia” che a me ricorda un po’ la Band di Robbie Robertson e anche le cose più roots di Bruce Hornsby, altro riferimento importante per Scott Mulvahill, la magnifica cover di “Homeless” di Paul Simon, canzone che appariva in “Graceland” e, a suggellare un disco dalle molteplici qualità, la title-track, manifesto delle intenzioni del nostro con il significativo incipit “I wanna go where I’ve never been, gotta know what I’ve been missing, I wanna come back different, home is wherever I wake up…”. (Remo Ricaldone)