Musicologo, musicista, compositore e docente di musica, il professor Massimo Sarra ci racconta la struttura di The Chair, spiegandoci perchè la tecnica, la bravura e il senso della melodia di Hank Cochran e Dean Dillon hanno reso George Strait uno degli artisti più amati e apprezzati dell’intero panorama country. Un articolo molto tecnico ma divertente, da leggere rigorosamente con the chair in sottofondo:
Un inizio con ritmo in levare della sola steel guitar che va ad intonare una piccola melodia discendente, subito ripetuta, come se si volesse rafforzare un concetto fondamentale, dal pianoforte accompagnato da tutta la band. Che piaccia molto all’ autore questo inizio (anche a me se devo essere onesto) non c’è dubbio, considerando che lo ripete per ben due volte. Ciò che mi dispiace è il fatto che praticamente non avremo più modo di risentirlo, fatta eccezione per il finale, dove per altro viene leggermente camuffato. Che l’autore voglia farci capire che di carne al fuoco ce ne è ancora molta? Come ho appena detto, la peculiarità dell’introduzione è il piccolo inciso discendente della steel guitar ripreso dal pianoforte. Non da un senso vero e proprio di apertura al brano, ma serve a richiamare l’attenzione dell’ascoltatore, come se in un certo modo volesse farci capire che qualcosa sta per arrivare. “Well excuse me” è il vero inizio di questa bellissima canzone! Un salto di 5° giusta ascendente con appoggiatura sulla fondamentale, praticamente un salto di 4° ascendente con ritardo. Un inizio che va a mescolare probabilmente i due intervalli per eccellenza per entrare con slancio all’interno di un brano. Mettendo da parte per un attimo i vari generi musicali pensiamo all’inizio affidato alle trombe della marcia trionfale dell’Aida di G. Verdi (4° giusta ascendente) e alla colonna sonora di superman di J. Williams (5° giusta ascendente). Qui praticamente abbiamo la fortuna di trovarli entrambi mescolati!Si prosegue poi con un ulteriore prepotente intervallo, un salto di 6° minore discendente, ma è sulla parola “no” della frase “no that one’s not taken I don’t mind” che si tocca l’apice! Un salto di 7° maggiore ascendente, un intervallo importante da intonare e che di rado si può ascoltare in un genere musicale destinato a tutti. Un inizio con un movimento melodico veramente interessante, che George Strait interpreta magistralmente, senza mai urlare, toccando le note con eleganza, quasi sussurrandole. Questo periodo musicale viene ripetuto per ben quattro volte, facilmente percepito anche da un orecchio distratto, non educato, considerando che nella seconda ripetizione si aggiunge il suono della steel guitar, questa volta però con il semplice ruolo di sottofondo, e nella terza ripetizione un violino gli prende il posto. Inoltre possiamo notare il raddoppio del colpo sul rullante della batteria (rimshot), che fino in quel momento veniva dato solo sul 4° movimento. In questa ripetizione lo si ha anche sul 2°.
All’interno della quarta ed ultima esposizione del periodo musicale possiamo ascoltare alla fine della prima frase, a metà strada tanto per intenderci, un cambiamento, un ponte che ha la funzione di collegare il periodo musicale fino allora esposto con il clou del brano: il ritornello! Il ponte qui ha una doppia funzione. Non solo come ho già detto quella di collante, ma anche di variazione: si va in un certo modo a contraddistinguere dal resto del brano, perché va ad interrompere una staticità armonica fino ad allora persistente. Un nuovo breve giro armonico, che ha inoltre la caratteristica di rafforzare la tonalità d’impianto e che avremo modo di riascoltare al termine del ritornello per ben altre due volte, con la finalità in questa circostanza di preparare l’ascoltatore al gran finale: la coda! Per esasperare ancor più la conclusione, viene introdotta nella seconda ripetizione, sulle parole “that wasn’t my chair after all”, la singolare interruzione dell’accompagnamento dell’intera band, con l’unica eccezione della chitarra, intonando inoltre, alla fine della frase, amplificando ancor più la tensione per l’attesa al gran finale, un salto di ottava ascendente sulle parole “after all”. Come l’inizio la protagonista della coda è la steel guitar, che va ad intonare nella prima parte un nuovo materiale tematico ascendente, per poi proseguire con quel piccolo inciso discendente, questa volta con un rallentando, che aveva caratterizzato l’introduzione. Per concludere, se dovessi giudicare Cochran e Dillon basandomi solo su the chair, potrei dire tranquillamente che ci troviamo di fronte a due grandi artista dalla fantastica vena melodica. Complimenti!