I Wild Boars sono una delle migliori realtà che si muovono in Italia a livello di roots music, un termine qui estremamente variegato nella concezione e foriero di ottime vibrazioni. La band è guidata dal cantante, banjoista e mandolinista inglese Andy Penington che dalla città di Derby più di ventanni fa si è trasferito a Torino portandosi dietro un bagaglio di passioni e di conoscenze che vanno dal folk (irlandese ed americano) al country, dal blues al bluegrass al rock. Tutto questo è condensato nella produzione di un gruppo che comprende le tastiere e la fisarmonica di Maurizio Spandre, il basso di Simone Ubezio, la chitarra acustica di Roberto Zisa e la batteria di Roberto Tassone e che si è fatto le ossa nei locali del nord Italia riuscendo ad incidere questo terzo disco intitolato “Strangers In A Familiar Land”, veicolo ideale per conoscere la dimensione attuale dei Wild Boars, maturati fortemente dopo un paio di album autoprodotti con passione e sagacia. A me il loro suono ha subito ricordato certe band americane che incrociano le radici country e bluegrass con il rock e le attitudini jam rimanendo però essenzialmente acustiche, un po’ come fanno Railroad Earth e Acoustic Syndicate per citare due nomi. Dalle inflessioni irlandesi dell’iniziale “Never Felt This Good” con i Waterboys ma anche i Dubliners nel cuore a brani come “Northbound”, “Fear Is Nothing”, “The Run” (con il piano in bella evidenza), “Good Night” e “She’s The Sunshine” guidate spesso dal nitido banjo di Andy Penington ma con attitudini limpidamente rock, le sonorità coinvolgono appieno grazie anche ad una notevole bravura tecnica. L’alternanza delle voci soliste poi rende il tutto ancora più diversificato, risultando a mio parere una scelta vincente, così come per  un repertorio, tutto originale, di ottima fattura. Strumentalmente c’è ancora da segnalare la presenza di un ospite speciale come Francesco ‘Fry’ Moneti, violinista con i Modena City Ramblers che aggiunge un tocco molto personale a “A Coward’s Jig” e a “Losin’ Yer Rag”, altri due momenti importanti del disco. Se capitano dalle vostre parti non perdetevi i concerti dei Wild Boars, vi stupiranno anche grazie ad una intelligente serie di covers che possono andare da Neil Young ai Kings Of Leon, dagli standard americani all’indie folk. (Remo Ricaldone)