Ci sono sere in cui sembra che il tempo non sia passato e ti ritrovi in quella dimensione quasi surreale dove con qualche centinaio di persone sei in un vecchio e nobile cinema sperduto nella pianura alessandrina ad assistere alla celebrazione più vera e genuina della musica americana figlia legittima di blues e country: il caro, vecchio, inossidabile rock’n’roll. I Blasters da Downey, Southern California sono in questo senso dei veri e propri sopravvissuti alle mille battaglie combattute nelle centinaia di clubs sparsi un po’ in tutto il mondo, veri ambasciatori e reduci del rock’n’roll, con tutte le inevitabili cicatrici portate con orgoglio e amore sconfinato per questi suoni. A vedere salire sul palco Phil Alvin quasi sorretto dai suoi pards, i suoi sessantacinque anni sembrano almeno dieci in più, segnato profondamente nel fisico  fragile e zoppicante, ma appena imbraccia a fatica la sua chitarra la sua voce si libra incredibilmente con una forza e una potenza tali da lasciare senza parole un pubblico caldo e ricettivo, pronto ad accogliere i Blasters in una stretta vigorosa e passionale. Il tempo di scaldare i motori con un breve set dei Mandolin Brothers, band pavese che delizia per il suo ‘rockin’ country’ decisamente godibile e poi i Blasters che si dispongono subito sullo scarno palco del Macallè per sciorinare un repertorio atteso e conosciuto ma sempre trascinante e fresco. Dietro a Phil c’è una delle sezioni ritmiche più devastanti nell’ambito rock: John Bazz al basso e Bill Bateman alla batteria, il primo granitico come non mai, il secondo un vero stantuffo rock nonostante anche lui fin dall’inizio abbia problemi fisici. Chi temeva che l’assenza di Dave Alvin potesse in qualche modo sentirsi, con le prime note di una potentissima “Long White Cadillac” si è ricreduto per come Keith Wyatt ha tenuto il palco con uno stile chitarristico di enorme qualità. Una vera e propria macchina da rock’n’roll i Blasters, una macchina che nonostante i milioni di chilometri fatti è ancora affidabile e macina sicura una strada lastricata da moltissimi classici. E il Macallè per una notte è come un qualsiasi club californiano, tutti in piedi in una platea affollata di cuori affamati di quelle sonorità per certi un po’ desuete ma per noi assolutamente senza tempo. Via allora con “Border Radio”, “American Music”, “So Long Baby Goodbye”, “I’m Shakin’”, “Trouble Bound”, “Dark Night”, “Rock And Roll Will Stand” e tante altre in uno splendido compendio di rock’n’roll mai così necessario per scaldare cuori e anime dei fortunati presenti. Una serata che sfila nella notte e rimarrà a lungo tra i ricordi più intensi di un racconto lungi dall’essersi esaurito. La strada verso casa è più corta e dolce. (Remo Ricaldone)