Tre dischi di assoluto valore, tre dischi in cui aleggia uno spirito blues indomito e quantomai vario a conferma della vitalità di una scena che, grazie anche a questi musicisti, registra passione, amore per le proprie radici e grande capacità di intrattenimento. The Nick Moss Band è tra le migliori proposte del cosiddetto Chicago blues, guidata dal chitarrista nato appunto nella ‘windy city’ 48 anni fa, strumentista impeccabile e trascinante. “The High Cost Of Low Living” segna il trionfale ritorno ai più genuini suoni ‘chicagoani’ dopo una parentesi in cui era stato sviscerato il blues nella sua accezione più jam, un lavoro estremamente godibile che unisce il tradizionale suono elettrico della patria della versione urbana di questo genere al ‘jump blues’ (unione di blues e jive, decisamente entusiasmante) e a certo ‘old school rock’n’roll’ in un insieme che non lascia fiato. Con lui l’armonicista Dennis Gruenling, veterano di mille sessions e autore di una corposa serie di album, e una band che suona più solida e rocciosa che mai. E ciliegina sulla torta un contratto nuovo di zecca con la storica label blues Alligator Records di Bruce Iglauer, simbolo della ‘musica del diavolo’ made in Chicago. Altro ottimo chitarrista che ha legato il proprio nome alla Alligator è certamente Tinsey Ellis, sessantenne nato ad Atlanta, Georgia, stile più ‘morbido’ e sinuoso (un po’ alla Robert Cray con cui condivide più di un punto in comune) e uguale amore per i suoni blues e soul. “Winning Hand” è lavoro di grande equilibrio e stile, giocato sui virtuosismi di Mr. Ellis e sul suo calore interpretativo. Disco inevitabilmente più ‘sudista’ e speziato che si basa su una solida capacità compositiva e su una splendida “Dixie Lullaby” di Leon Russell a conferma di sconfinato amore per quelle latitudini. Curtis Salgado è invece un armonicista che da più di trentanni delizia i ‘blues lovers’ di tutto il mondo con uno stile essenziale e ricchissimo di sfumature allo stesso tempo, seguendo le orme dei padri del genere, da Muddy Waters a Big Bill Broonzy, da Son  House a Sonny Boy Williamson, tutti ‘ripresi’ in questo suo stimolante “Rough Cut” co-intestato con il chitarrista Alan Hager in un album più acustico rispetto ai primi due segnalati in cui il materiale originale è perfettamente incastrato con cover suonate con perizia e fedeltà ai suoi modelli ispiratori. Dal delta blues su per la Highway 61 fino a Chicago, “Rough Cut” è un viaggio affascinante su strade battute da centinaia di artisti, bianchi e neri, alla ricerca si delle proprie radici ma anche di una libertà di espressione che facesse cadere le ‘catene’ della segregazione e dei pregiudizi. Un viaggio in cui la musica dei neri e dei bianchi si è spesso avvicinata, tanto da influenzarsi a vicenda. E più di quello che si creda. Tre dischi assolutamente e caldamente raccomandati.(Remo Ricaldone)