12067292_10206639623701905_1978136427_nCi sono persone, come me, che usano le parole per vivere. Persone che scrivono, che insegnano, che studiano, che traducono.E poi ci sono silenzi che non hanno bisogno di essere tradotti, insegnati o studiati… ma che forse meritano di essere scritti.Parlo di una piccola stele bianca, muta nel mezzo della prateria del Little Bighorn Battlefield National Monument in Montana. Una stele che spunta in quella pianura spazzata da un vento vigoroso, dove il Generale Custer vide le sue truppe del Settimo Cavalleria sorprese e schiacciate dall’astuzia dei guerreri Lakota, Cheyenne e Arapaho guidati da Toro Seduto, Cavallo Pazzo e Lame White Man.Ancora oggi, nel vasto range dove i Mustang selvaggi pascolano in totale libertà, i turisti attraversano il nulla, dipingendo nella propria mente una delle battaglie più note dell’epopea d’oltreoceano, e si fermano davanti a gruppi di piccole lapidi bianche ed altre scure, in memoria dei combattenti caduti, soldati americani o guerrieri nativi.Solo in pochi si fermano invece davanti a quella stele silenziosa con un cavallo inciso e l’iscrizione “In memoria dei cavalli del Settimo Cavalleria, uccisi durante la battaglia di Little Bighorn (in inglese Custer’s Last Stand) il 25 Giugno 1876 e poi seppelliti qui nel Luglio del 1881 sotto la supervisione del Ten Charles F. Roe del Secondo Cavalleria. “12068013_10206639623901910_1457090219_nImprovvisamente tutti i fiumi di parole che vengono spesi oggi sul cavallo inteso come strumento sportivo, come sinonimo di coccarda, oppure, nel migliore dei casi, come compagno di competizione, si infrangono contro quella pietra candida e schietta. Pagine e pagine di dissertazioni su quale disciplina equestre sia più onorevole, su quale tipo di monta, inglese o americana, sia la più autentica, su quale sia il confine tra indispensabile tutela del cavallo e fanatismo animalista, volano via spinti dal vento che piega i lunghi capelli biondi della terra che vide ancora una volta l’uomo affidare la sua vita alla groppa del proprio compagno, prendendosi a sua volta la responsabilità di condurlo verso la morte.Esiste forse un legame più forte di cameratismo e di fratellanza, forse obbligata, di quella tra due commilitoni che dividono la trincea e finiscono loro malgrado per dipendere l’uno dall’altro?
Innegabilmente grazie al suo legame con un’altra specie forte e leale l’uomo ha infatti attraversato la storia, le scoperte, il progresso, la conoscenza. Niente coppe, niente coccarde, ma spesso la corsa verso una vita migliore o quantomeno l’illusione di poterla trovare.
12116338_10206639799666304_1526530265_oBando agli eccessi di poesia comunque: così come oggi, a maggior ragione all’epoca esisteva la violenza, lo sfruttamento degli animali, l’utilizzo del cavallo come mezzo per lo svolgimento delle proprie attività. Forse allora poteva perfino essere più comprensibile, poichè effettivamente non esisteva altro aiuto tecnico o meccanico, mentre ai nostri tempi spesso si cade nella crudeltà solo per vanagloria e competitività, senza neppure l’attenuante della sopravvivenza. Eppure, in quei Mustang che ancora brucano la libertà, nelle effigi dei guerrieri nativi che ritraggono i loro Paint o i loro Appaloosa, nei racconti di guerrieri seppelliti insieme ai propri cavalli, nella stele del Little Bighorn Battlefield, noi oggi cogliamo qualcosa che supera l’ultimo orizzonte così nitido e definito sotto il cielo del Montana. Ed allora non esistono più campi gara ma solo campi. Non esistono più cavalli sportivi, cavalli di razza, cavalli da salto, da reining, da dressage, da cutting… esistono solo cavalli.
Cavalli e uomini. (Sara Albanese)