Non solo non ha mai preteso di essere un tradizionalista, ma scientemente ha così allargato la sua visione della musica country, tale da ergersi a capofila di un’innovazione, disgraziata  per i retromani, banalmente inarrestabile per i più, che pesca sonorità dovunque si trovino spunti, ispirazioni, appigli, suggerimenti, divenendo un artista tanto più bulimico, tanto più sofisticato ed efficace. Il suo ultimo Graffiti U (Capitol Nashville, 2018) è tutto nella definizione serrata che ne dà il critico Stephen Thomas Erlewine, racchiuso nei tre aggettivi Gleaming, Bright e Rolling-easy (qualcosa come scintillante, luminoso e scorrevole).

In aggiunta a ciò, Keith Urban avoca a sé anche una sorprendente consapevolezza: in Coming Home, traccia di apertura del disco, innesta in maniera assolutamente geniale (poiché calzante e inattesa), un tributo nascosto e sottile a Mama Tried di Haggard, tagliato e distorto in una puntura chitarristica che sa di ruggine e cemento scrostato, inserita in una trama musicale urban gonfia di elettronica e di respiri new-country.

Mama Tried è forse il brano più famoso di Merle Haggard, numero 1 nella classifica dei singoli country nell’estate del 1968, che ha proprio in quel riff di chitarra elettrica la sua parte più riconoscibile, che KU utilizza cinquant’anni dopo, come sampling, appunto nel brano Coming Home. E se ci sono infiniti modi per inspessire la propria consistenza artistica, uno tra questi, trionfo della post-modernità, è proprio l’avere la massima consapevolezza delle proprie radici e del proprio passato, pur realizzandone appieno il superamento. (Steve Frapolli)