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Il grosso vantaggio di autoprodurre la propria musica o di incidere per etichette indipendenti è senz’altro quello di poter sperimentare e di disporre della più ampia libertà artistica, di lasciare la briglia sciolta e di comporre nella massima autonomia. E’ questo il caso di Jim White, musicista ‘inquieto’ e sempre voglioso di dare un’impostazione originale ad una visione delle radici americane che lo ha visto tra i protagonisti della (ri)nascita dell’alternative country negli anni novanta. Da un ventennio Jim White, che ora ha base ad Athens, Georgia, propone sonorità che prendono spunto dalla tradizione ma che vengono filtrate da un’attitudine spesso influenzata dalla world music e dall’amore per certa psichedelia. Il fascino delle sonorità appalachiane e della cosiddetta ‘mountain music’ è mischiata a inflessioni contemporanee e rock, anche se non sempre nell’accezione più classica del termine. “Waffles, Triangles & Jesus” è un disco caleidoscopico e godibile nella sua varietà di temi, sconfinando spesso nel pop-rock ma mantenendo intatta la forza espressiva dei suoni country-folk, partendo dalla significativa e sostanziosa “Far Beyond The Spoken World” che rappresenta un po’ il manifesto delle intenzioni di Jim White. Questo è il classico disco che sorprende ad ogni brano, mai banale, mai sdolcinato o retorico. Momenti lievi ed orecchiabili si alternano a dimostrazioni di una ricerca mai fine a se stessa ma intesa a confermare quanto interessante possa risultare l’unione di diverse mentalità e culture, non perdendo mai il filo conduttore che guida questa selezione e la manitene su livelli più che buoni. Tra i momenti più significativi possiamo citare “Wash Away A World” dal ritmo ‘spezzato’ e dalle inflessioni country che emergono nitide, una festosa e ‘grassy’ “E.T. Bass At Last Finds The Woman Of His Dreams”, “Here I Am” più rilassata e dalle tonalità tra il primo Jimmy Buffett e certo Ry Cooder, “Sweet Bird Of Mystery” con il suo forte bagaglio poetico ed evocativo, “Silver Threads” che a me ricorda i Grateful Dead di metà anni settanta, la misteriosa e onirica “Drift Away” con il suo sapore old-time e, quasi a fare da contraltare, una frizzante “Playing Guitars” che rimanda alle vecchie classiche ‘jug bands’ con un tocco però quasi a la Lovin’ Spoonful o Country Joe & The Fish. Un disco consigliato soprattutto a chi non ha preconcetti e a chi cerca qualcosa di originale pur in un contesto chiaramente roots.(Remo Ricaldone)