1368467430_stretchIl brano si apre con un tema semplicissimo affidato alla chitarra elettrica e carico di un palpabile senso di aspettativa. Da notare il senso ascendente di questo piccolo tema iniziale, ottimo per un’introduzione da brivido, che va a crescere in modo naturale e prosegue fino a esplodere con una potenza e una energia travolgenti. Un’introduzione che ha esercitato sul sottoscritto, proprio grazie a queste prime note trionfali, un’attrazione fatale. Non è assolutamente nuova questa costruzione nella musica di Strait, anzi credo proprio che sia una sua caratteristica, pensiamo per esempio al brano che ho già recensito: “The Chair”. La prima strofa va ad iniziare sulle parole “Sitting at the bar I overheard a couple guys…”, frase dal significato enorme, non tanto perché ricopre il ruolo di apri pista, ma perché va a delineare la struttura musicale del brano. Struttura che è divisa, ovviamente se andiamo a togliere l’introduzione e la coda che fanno da cornice, in due macro sezioni proprio come i due personaggi principali della canzone. Nella prima parte infatti, dopo una breve spiegazione di come e dove avviene l’ incontro, il protagonista risulta essere uno; nella seconda parte invece, quella subito dopo il ritornello tanto per intenderci, il protagonista cambia completamente.
George_Strait-Love_Is_Everything-TraseraUn’altra prerogativa della musica di Strait, possiamo anche qui confrontarci con “The chair”, sono quegli artifici stilistici, i controcanti per intenderci, che si vengono a creare tra la voce e gli strumenti che costituiscono l’organico della band. Sempre nella prima strofa, che culminerà sulle parole “Wasn’t saying a thing”, il ruolo di coprotagonista viene affidato al pianoforte, sostituito poi nella seconda strofa, sulle parole “The first guy kept talking…” dal fiddle. Strofa questa che viene introdotta all’unisono dalla chitarra elettrica e dal violino stesso. Da notare inoltre, proprio la funzione della chitarra all’interno del brano, strumento che funge da preambolo per ogni novità che sta per arrivare. Arriviamo finalmente al refrain. Ci troviamo di fronte ad un ritornello atipico, considerando che il giro armonico è sempre lo stesso. Non ci troviamo neanche di fronte a cambio di tonalità e ne tanto meno di ritmo. Ciò che rende questa parte del brano così carico di enfasi, è proprio l’alternanza degli strumenti, caratteristica già vista all’interno delle strofe. Per esempio il colpo pieno sul tamburo che va a sostituire il colpo sul bordo (rim shot). Oppure i controcanti affidati questa volta alla steel guitar invece che al pianoforte o al violino. Il ritornello, che ha inizio sulle parole “ You don’t know what it feels like living this lonely” e terminerà sulle parole “till it’s gone”, fa da trampolino di lancio ad un assolo di chitarra elettrica che culminerà con la riproposta dell’introduzione proprio per farci capire che qualcosa sta per tornare, cioè la terza ed ultima strofa.
La seconda sezione della canzone invece, è composta solo da una strofa, variata nei controcanti, questa volta assegnati alla chitarra elettrica, e da un identico ritornello, fatta eccezione per la parte finale, dove tramite una piccola modifica armonica, le parole “You don’t know what you’re missing, till it’s gone”, vengono ripetute per ben due volte. Anche questo modo di concludere, che è tipico dell’artista, da un senso maggiore di chiusura, e va ad aprire le porte, tramite un piccolo tema discendente (ottimo del resto per una conclusione) alla coda della canzone. Strait e chi scrive le canzoni per lui ( in questo caso Al Anderson e Chris Stapleton) sono sicuramente dei grandi musicisti e questo brano è la prova che anche nella cosiddetta musica leggera vi sono piccoli capolavori. Purtroppo nella musica così detta popolare, cioè accessibile a tutti, non sempre ci troviamo di fronte a canzoni così bene strutturate. Non sempre si ha la possibilità di trovare una correlazione tra il testo e la musica, anzi spesso risulta essere completamente sconnesso il loro rapporto. Oggi la musica ci accompagna ovunque, in ogni momento della giornata, come se fosse la colonna sonora della nostra vita. La cosa ci fa indubbiamente piacere, ma bisogna considerare anche l’altro lato della medaglia: un sottofondo continuo, e non intendo solo musicale, può infine intorpidirci la mente, creare assuefazione. Per questo motivo nell’ambito musicale di tipo commerciale c’è poca cura dei particolari, proprio perché di fronte si hanno ascoltatori dalla perduta sensibilità, che va anche probabilmente imputata all’abitudine di ascoltare solo musica registrata e spesso di bassa qualità acustica. (Massimo Sarra)